mercoledì 22 giugno 2011

Marx reloaded

Il pensiero di Karl Marx, così come quello di San Francesco, Darwin e, più in generale, di tutti i grandi leader e pensatori della storia, ancor più che essere studiato ed analizzato, è stato spesso ampiamente sfruttato e storpiato per propri fini da parte di innumerevoli individui ed organizzazioni. Ogni volta che un grande pensatore si affaccia sulla storia, milioni di “parassiti” si accalcano attorno alle sue idee ed ai suoi simboli per succhiarne il prestigio ed il rispetto giustamente meritato e trasformarlo in un non parimenti meritevole potere personale. A guardare la storia, parrebbe che il destino delle grandi idee, anche quelle più nobili ed innocue, sia quello di divenire simboli carismatici ma svuotati della originaria scienza, ossia null’altro che lo scudo dietro cui il potere cela alle folle i suoi più osceni appetiti e con cui aizza le stesse ad aiutarlo a compiere i più efferati crimini che si possano concepire.

Siamo in piena crisi, così, quando ormai sembrava definitivamente archiviato, eccoti che ti ritorna utile il buon Marx, senza quella fastidiosa ressa retorica e politicizzata del secolo scorso. Un'occasione da non lasciarsi sfuggire...

Dopo le catastrofi culturali causate dal diluvio ideologico-propagandistico della Guerra Fredda, è ormai pressoché impossibile, per la stragrande maggioranza degli occidentali (e non solo), distinguere il marxismo dalla pianificazione economica centralistica di stampo sovietico. Inutile dire che Marx non ha mai teorizzato nulla di ciò che l’URSS attuò con burocratica stupidità. Dovendo sintetizzare e semplificare all’inverosimile il pensiero di Marx, si può dire che il suo massimo pregio fu semplicemente quello di analizzare il capitalismo con occhio lucido e freddo. La sua analisi ha scatenato il putiferio in cielo e in terra solamente perchè conduce ad un giudizio piuttosto severo sul capitalismo, un giudizio di insostenibilità e di fondamentale instabilità congenita. Oggi, coi tempi che corrono, si fa fatica quantomeno a non dubitare che un po’ di ragione Marx forse ce l’aveva.
Nonostante i dogmi inculcati dalla monocultura globale, iperconsumista e iperliberista, persino un consumatore medio può trovarsi a far molta fatica a negare che il diritto di proprietà, almeno nella forma attualmente accettata nel mondo,  non sia stata e tuttoria sia fonte di enormi disuguaglianze. Nascere non dovrebbe essere né un merito né una colpa e, se è vero che il concetto su cui si fondava la nobilità di un tempo è finalmente caduto in disuso, non altrettanto può dirsi con il concetto di eredità. Nascere figlio di plurimiliardari in Europa, se non è un merito è certamente una grazia e nascere figlio di nullatenenti in Africa è, se non una colpa, per lo meno una condanna ai lavori forzati a vita o, spesso, a morte prematura. 

Stranamente capita ancora di pensare che l’URSS sia stato appunto questo: un vano tentativo di abolire la proprietà privata. Nella realtà dei fatti così non fu. I sistemi di produzione sovietici erano centralizzati, ma la ricchezza era comunque scambiata tramite il denaro, ossia con ciò che Marx stesso definì con lucido disprezzo “il potere alienato dell'umanità”. Pare oltretutto ovvio pensare che le catene di montaggio sovietiche, nonostante la roboante propaganda di regime apparentemente filomarxista, non dovevano essere poi meno alienanti di quelle statunitensi. Al di la delle sue infinite contraddizioni, il punto è che l’economia sovietica fu per il marxismo quello che l’inquisizione spagnola fu per il cristianesimo: un tradimento di mastodontica ipocrisia. Eppure, persino questi clamorosi errori, sono spesso destinati a diventare strumenti di propaganda essi stessi invece che moniti universalmente validi e genuine fonti di riflessione. Così, oggi, parlare di critica alla proprietà privata o al denaro è analogo a parlare di fate e folletti. Chi osasse tentare rischierebbe senz’altro il ridicolo, ricevendo al più, come unica risposta, le solite vecchie repliche, in primis quella che più di tutte ha fatto sognare l’occidente: “E’ vero che il denaro crea delle differenze, ma se ti dai tanto da fare puoi diventare ricco, anche se nasci povero!”.
C’è sempre stato una forte vena di ipocrisia in questa risposta falsamente meritocratica, ma oggi si esagera!
Oggi che cosa si può rispondere, infatti, quando persino i figli degli occidentali benestanti sono costretti ad una vita fatta di precariato e sfruttamento? Quando il nepotismo ed il clientelismo sono sistemici? Se un ministro si permette di dire in pubblico e dinnanzi alle telecamere che i precari sono la parte peggiore dell’Italia, si può continuare a ripetere, senza cadere nel ridicolo, a chi è in difficoltà “Se ti impegni tanto puoi diventare ricco pure tu” ? Forse, in passato, quell’affermazione è stata almeno in parte vera, ma oggi? Il vostro affezionato Panda non crede proprio, non dopo aver visto il sistema bancario mandare in bancarotta il mondo intero tramite truffe legalizzate per poi essere comunque aministiato e salvato, con grandissimi sacrifici e a scapito del benessere di centinaia di milioni di persone. La meritocrazia di cui è sempre andato giustamente fiero l’occidente ci ha ormai abbandonati o, per meglio dire, il libero mercato ha abbandonato definitivamente la meritocrazia. Così, quelle centinai di milioni di persone che,  con i propri soldi, tasse e lavoro, hanno salvato il più ricco e corrotto sistema bancario che il mondo abbia mai visto, ora devono sottostare al giogo della speculazione finanziaria dei “salvati”. Speculazione che, come ben sanno i greci, pende sui loro posti di lavoro e sulle vite di tutti noi come una spada di Damocle. Il futuro di intere generazioni, le faticose conquiste dello stato sociale ed il concetto di uguaglianza dinnanzi alla legge baldanzosamente e sbrigativamente barattati con lo stacco dei dividendi di alcune Big della finanza e qualche promessa di una non meglio precisata ripresa economica in un futuro ancora da stabilire nonostante siano ormai passati diversi anni dal crack.
Marx serve ancora. Serve perchè vi sono gravi sintomi materiali e persino culturali di un possibile collasso del capitalismo. La negazione della qualità e della portata di disastri ambientali, l’invito ad un ottimismo acritico al limite del grottesco, l’arroganza sempre più priva di pudori dei potenti, il montante paternalismo politico, l’erosione dei diritti civili, la mancanza di progressi dell'emancipazione femminile, ecc…  ecc... ecc... sono tutti segnali non tanto di una degenerazione morale (“i degenerati” sono sempre esistiti e in passato più che mai), quanto di un sistematico impoverimento della popolazione. La popolazione si impoverisce di giorno in giorno e trova subito chi vuole approfittare di questa sua vulnerabilità. La povertà, infatti, non è vero che porti ravvedimento, saggezza e conoscenza. L'impoverimento non genera gli anticorpi alle storture dei giorni nostri, ma certamente rende chi ne soffre più ricattabile, spaesato ed insicuro. Ne consegue che comportamenti scorretti (anche pubblici) che prima sarebbero stati sanzionati aspramente, ora sono tollerati. Il diritto d’uguaglianza, sebbene non a parole, nei fatti è già sotto assedio in tutte le principali democrazie. Non siamo ancora al "c'è chi comanda e chi serve", ma siamo già ad un non meno preoccupante " siamo tutti uguali, ma alcuni sono più uguali di altri". 
Nonostante le apparenze, bisogna ricordarsi che tutto ciò non è sintomo di un imprecisato ed inspiegabile crollo di moralità. La tolleranza verso ciò che prima non sarebbe stato tollerato è indotta dalle circostanze materiali. Nel nostro caso si tratta di circostanze squisitamente economiche. L’abitudine, la stanchezza e la rassegnazione della gente da un lato e la propaganda televisiva dall'altro fano il resto. L’estremizzazione della politica e dei suoi toni e la riduzione della stessa ad una glorificazione o demonizzazione dei rispettivi rappresentanti è anch’esso un segnale di impoverimento diffuso: i politici cavalcano e stimolano malumori e paure nati dal senso di insicurezza generale per ottenere un facile consenso. Come civiltà siamo entrati in un trend assai pericoloso.
Se marxista, per molti, è una parola dispregiativa (pur non sapendo né avendone letto al riguardo un bel nulla), se i figli dei ricchi hanno sempre studiato Marx (e quelli dei poveri mai), se persino uno squalo del capitalismo moderno come Soros si interessa approfonditamente del pensiero marxista (mentre la maggior parte dei lavoratori e dei disoccupati lo ritiene ormai “materiale superato” disinteressandosene completamente), se la maggioranza delle persone, addirittura a distanza di anni dalla fine della Guerra Fredda, continua ad associare il pensiero marxista ad una sorta di pericolosa deviazione mentale che conduce inevitabilmente a forme dittatoriali confondendolo con lo stalinismo, beh, forse c’è qualcosa che ci è sfuggito! Forse sarebbe meglio istruirsi un pochino, perché il rischio concreto (concreto e vicino) è quello di veder crollare il capitalismo, così come crollò a suo tempo l’impero sovietico, senza però che resti più nessuna alternativa a disposizione. Peggio ancora, corriamo tutti quanti il rischio di sfogare i pruriti plurimiliardari attivati dalla crisi economica in atto e dalle sue conseguenze con una guerra di dimensioni senza precedenti. Rischiamo cioè di riavvolgere il nastro sbagliato, piombando tutti in una colossale guerra anzichè in un regime democratico che sappia domare gli appetiti del capitalismo. Rischiamo quanto accadde dopo la crisi del ’29 con la Seconda Guerra Mondiale, ma rapportato alla popolazione ed agli armamenti odierni.

Più genericamente rischiamo, oggi come allora, che la classe dominante tenti qualsiasi cosa pur di salvare sé stessa e/o pur di sfruttare a proprio esclusivo vantaggio la triste situazione, rimanendo per tutto il tempo con le mani in tasca e il naso per aria. Questo rischio dovrebbe fungere da stimolo per una sana e coscienziosa paura, una paura da sfogare nella riflessione collettiva e nell'autoformazione intellettuale (marxista o meno che sia) e non certo da sfogare con la pancia come abbiamo fatto finora con i risultati che sono dinanzi agli occhi di tutti. Serve una paura costruttiva e propositiva, che cooperi con il senno e con il cuore e che ci preservi dalla parte più bestiale di noi stessi, anziché farcela abbracciare ancora una volta (quella che potrebbe essere l'ultima).

Buon futuro a tutti dal Panda.

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