lunedì 4 novembre 2013

In che modo la scienza ci sta dicendo a tutti di ribellarci - di Naomi Klein

Naomi Klein
 Foto di Mariusz Kubik
Quanto segue è la traduzione (assolutamente dilettantesca, ma quanto più possibile letterale) di un articolo della famosa scrittrice, giornalista ed attivista canadese Naomi Klein. L'articolo originale, in inglese, è apparso su New Statesman (ed è stato ripreso su Common Dreams). La traduzione che segue invece è stata effettuata dal vostro affezionato Panda (che NON è un traduttore di professione). A chiunque conosce l'inglese il Panda consiglia quindi di vedere l'originale qui

Per tutti gli altri, il consiglio è di portare un po' di pazienza (credo ne vale la pena) e...

...buona lettura dal Panda!

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In che modo la scienza ci sta dicendo a tutti di ribellarci
di Naomi Klein


Pubblicato  il 29 ottobre 2013 10:00 su New Statesman

Nel dicembre 2012, un ricercatore sui sistemi complessi dai capelli rosa di nome Brad Werner si è fatto strada tra la folla di 24.000 scienziati specializzati sulla terra e lo spazio del Meeting sul collasso della American Geophysical Union, che si tiene ogni anno a San Francisco. La conferenza di quest'anno ha avuto tra i partecipanti alcuni grandi nomi, da Ed Stone del progetto Voyager della Nasa, che ha illustrato una nuova pietra miliare nel cammino verso lo spazio interstellare, al regista James Cameron, che ha parlato delle sue avventure con sommergibili in acque profonde.

Ma è stata proprio la sessione di Werner a suscitare gran parte dello scalpore. Era intitolata "La Terra è F**tuta?" (Titolo completo: "La Terra è F**tuta? La futilità dinamica della gestione ambientale globale e le possibilità per la sostenibilità tramite l'Attivismo ad Azione Diretta").

Dinnanzi alla sala conferenze, il geofisico della University of California di San Diego ha accompagnato il pubblico attraverso l'avanzato modello al computer che stava usando per rispondere a questa domanda. Ha parlato di limiti di sistema, perturbazioni, dissipazione, attrattori, biforcazioni e un sacco di altre cose in gran parte incomprensibile a chi di noi non iniziati alla teoria dei sistemi complessi. Ma la linea di fondo è stata abbastanza chiara: il capitalismo globale...


...ha reso l'esaurimento delle risorse tanto rapido, comodo e privo di barriere che, in risposta, "i sistemi terra-uomo" stanno diventando pericolosamente instabili. Quando è stato pressato da un giornalista per una chiara risposta sulla questione se "siamo f**tuti" , Werner ha messo da parte il gergo e risposto: "Più o meno".

C'era tuttavia una dinamica del modello che offriva qualche speranza. Werner la definì "resistenza" - movimenti di "persone o gruppi di persone" che "adottano un certo insieme di dinamiche che non rientrano nell'ambito della cultura capitalista". Secondo l'abstract della sua presentazione, ciò include "l'azione ambientalista diretta, la resistenza assunta al di fuori della cultura dominante, come in proteste, blocchi e sabotaggi da parte dei popoli indigeni, operai, anarchici e di altri gruppi di attivisti".

Gli incontri scientifici seri di solito non danno risalto a richieste di resistenza politica di massa, ancor meno all'azione diretta e al sabotaggio.Ma, d'altra parte, Werner non stava esattamente richiedendo queste cose. Egli stava semplicemente osservando che le insurrezioni di massa della gente - simili al movimento abolizionista, al movimento per i diritti civili o ad Occupy Wall Street - rappresentano la fonte più probabile di "attrito" per rallentare una macchina economica che sta andando fuori controllo. Sappiamo, ha fatto notare, che i movimenti sociali del passato hanno "avuto un enorme influenza su. . . come la cultura dominante si è evoluta". Quindi è ovvio che, "se stiamo pensando al futuro della terra, e al futuro della nostra congiunzione all'ambiente, dobbiamo includere la resistenza come parte di quella dinamica". E che, ha sostenuto Werner, non si tratta di una questione di opinioni, ma "in realtà di un problema geofisico".

Un sacco di scienziati sono stati mossi dai risultati delle loro ricerche ad agire nelle strade. Fisici, astronomi, medici e biologi sono stati in prima linea in movimenti contro le armi nucleari, l'energia nucleare, la guerra, la contaminazione chimica ed il creazionismo. E nel novembre 2012, Nature ha pubblicato un commento da parte del finanziere e filantropo ambientalista Jeremy Grantham esortando gli scienziati ad unirsi a questa tradizione e di "essere arrestati se necessario", perché il cambiamento climatico "non è solo la crisi della vostra vita - è anche la crisi dell'esistenza della nostra specie".

Alcuni scienziati non hanno bisogno d'essere convinti. Il padrino della moderna scienza del clima, James Hansen, è un attivista formidabile, essendo stato arrestato una mezza dozzina di volte per aver fatto resistenza al mountaintop removal delle miniere di carbone ed agli oleodotti delle sabbie bituminose (ha anche lasciato il suo lavoro alla Nasa quest'anno, in parte per avere più tempo per l'attivismo). Due anni fa, quando sono stata arrestata davanti alla Casa Bianca in una azione di massa contro l'oleodotto per le sabbie bituminose Keystone XL, una delle 166 persone in manette quel giorno era un glaciologo di nome Jason Box, un esperto di fama mondiale sulla fusione della calotta di ghiaccio della Groenlandia .

"Non avrei potuto mantenere il mio amor proprio, se non fossi andato," ha detto Box, allora, aggiungendo che "il solo votare non sembra essere sufficiente in questo caso. Ho bisogno di essere anche un cittadino".

Questo è lodevole, ma quello che Werner sta facendo con la sua modellazione è diverso. Lui non sta dicendo che la sua ricerca lo ha spinto ad agire per fermare una particolare politica; sta dicendo che la sua ricerca dimostra che il nostro intero paradigma economico è una minaccia per la stabilità ecologica. E, in effetti, che sfidando il paradigma economico - attraverso il movimento di massa di contro-pressione - è la migliore chance dell'umanità per evitare la catastrofe.

Questa è roba forte. Ma non è il solo. Werner è parte di un piccolo ma sempre più influente gruppo di scienziati le cui ricerche nella destabilizzazione dei sistemi naturali - in particolare del sistema climatico - li sta portando ad analoghe conclusioni trasformative e persino rivoluzionarie. E per ogni rivoluzionario segreto che abbia mai sognato di rovesciare l'attuale ordine economico a favore di uno che sia un motivo un po' meno probabile dell'impiccarsi a casa propria dei pensionati italiani, questo lavoro dovrebbe essere di particolare interesse. Perchè rende lo scaricare questo crudele sistema a favore di qualcosa di nuovo (e, forse, meglio, con un sacco di lavoro) non più una questione di mera preferenza ideologica, ma piuttosto una necessità esistenziale a livello di specie.

In testa al gruppo di questi nuovi rivoluzionari scientifici c'è uno dei massimi esperti del clima della Gran Bretagna, Kevin Anderson, il vice direttore del Tyndall Centre for Climate Change Research, che si è rapidamente affermata come una delle principali istituzioni di ricerca sul clima del Regno Unito. Affrontando tutti, dal Dipartimento per lo Sviluppo Internazionale al Consiglio Cittadino di Manchester, Anderson ha trascorso più di un decennio con pazienza traducendo le implicazioni della recente scienza del clima per politici, economisti e attivisti. Con un linguaggio chiaro e comprensibile, egli delinea un rigoroso piano d'azione per la riduzione delle emissioni, uno che fornisca una chance decente di mantenere l'aumento della temperatura globale al di sotto dei 2° Celsius, un obiettivo che la maggior parte dei governi ha stabilito dovrebbe scongiurare la catastrofe.

Ma negli ultimi anni gli studi e le presentazioni di Anderson sono diventati più allarmanti. Sotto titoli come "Cambiamento climatico: Andare oltre il pericoloso. . . Numeri brutali e Tenue Speranza", egli sottolinea che le possibilità di rimanere all'interno di qualche cosa come i livelli di temperatura di sicurezza stanno diminuendo rapidamente.

Con la sua collega Alice Bows, un'esperta di mitigazione del clima al Tyndall Centre, Anderson fa notare che abbiamo perso così tanto tempo per lo stallo politico e le deboli politiche climatiche - tutte mentre il consumo globale (e le emissioni) crescevano a dismisura - che ora stiamo affrontando tagli così drastici che sfidano la logica fondamentale della crescita del PIL con priorità sopra ogni altra cosa.

Anderson e la Bows ci informano che l'obiettivo di mitigazione a lungo termine spesso citato - un taglio delle emissioni del 80% al di sotto dei livelli del 1990 entro il 2050 - è stato scelto solo per ragioni di opportunità politica e non ha "alcuna base scientifica". Questo perché gli impatti climatici non provengono solo da quello che emettiamo oggi e domani, ma dalle emissioni cumulative che si accumulano nell'atmosfera nel corso del tempo. Ed avvertono che, concentrandosi su obiettivi di tre decenni e mezzo nel futuro - piuttosto che su ciò che possiamo fare per tagliare il carbonio drasticamente e subito - vi è il serio rischio che permetteremo alle nostre emissioni di continuare a salire negli anni a venire, sperperando così di gran lunga troppo del nostro "budget del carbonio" a 2° e mettendoci in una posizione impossibile più tardi nel secolo.

Il che è il motivo per cui Anderson e Bows sostengono che, se i governi dei paesi sviluppati sono seri riguardo al centrare il bersaglio internazionale concordato di mantenere il riscaldamento al di sotto dei 2° Celsius, e se le riduzioni devono rispettare qualche tipo di principio di equità (in sostanza che i paesi che hanno emesso carbonio per gran parte dei due secoli debbano tagliare prima dei paesi in cui più di un miliardo di persone non hanno ancora energia elettrica), allora le riduzioni devono essere di gran lunga più profonde, ed hanno bisogno di avvenire assai prima.

Per avere giusto un 50% di possibilità di centrare il bersaglio dei 2° (che, loro e molti altri mettono in guardia, comporta già far fronte ad una serie di impatti climatici estremamente dannosi), i paesi industrializzati hanno bisogno per iniziare a tagliare le loro emissioni di gas serra di qualcosa come il 10% all'anno - ed hanno bisogno di iniziare subito. Ma Anderson e Bows vanno oltre, sottolineando che questo obiettivo non può essere raggiunto con l'assortimento di un limitato carbonpricing oppure con le soluzioni green-tech solitamente promosse dai grandi gruppi verdi. Queste misure saranno certamente di aiuto, senza dubbio, ma semplicemente non sono abbastanza: un calo del 10% delle emissioni, anno dopo anno, è praticamente senza precedenti da quando abbiamo iniziato ad alimentare le nostre economie con il carbone. Di fatto, tagli sopra al 1% all'anno "sono stati storicamente associati solo con recessione economica o sconvolgimento", come l'economista Nicholas Stern espose nel suo rapporto del 2006 per il governo britannico.

Anche dopo il crollo dell'Unione Sovietica, riduzioni di tale durata e profondità non sono avvenute (i paesi dell'ex Unione Sovietica hanno sperimentato una riduzione media annua di circa il 5% per un periodo di dieci anni). Non accadde dopo che Wall Street si schiantò nel 2008 (i paesi ricchi hanno avvertito un calo di circa il 7% tra il 2008 e il 2009, ma le loro emissioni di CO2 rimbalzarono con gusto nel 2010 e le emissioni in Cina ed India hanno continuato a salire). Solo nel periodo immediatamente successivo al grande crollo del mercato del 1929 provato dagli Stati Uniti, per esempio, si vede un calo di emissioni per diversi anni consecutivi di oltre il 10% all'anno, secondo i dati storici del Carbon Dioxide Information Analysis Centre . Ma quella fu la peggiore crisi economica dei tempi moderni.

Se vogliamo evitare quel tipo di carneficina, rispettando i nostri obiettivi di emissione su base scientifica, la riduzione del carbonio deve essere gestita con attenzione attraverso ciò che Anderson e Bows descrivono come "strategie di de-crescita radicale ed immediata negli USA, nella UE ed in altri paesi ricchi". Che va bene, ecceto per il fatto che ci capita d'avere un sistema economico che feticizza la crescita del PIL sopra ogni altra cosa, a prescindere dalle conseguenze umane od ecologiche, ed in cui la classe politica neoliberista ha completamente abdicato alle sue responsabilità di gestire qualsiasi cosa (dal momento che il mercato è il genio invisibile a cui tutto deve essere affidato).

Così, ciò che Anderson e Bows in realtà stanno dicendo è che c'è ancora tempo per evitare il riscaldamento catastrofico, ma non entro le regole del capitalismo per come sono attualmente costruite. Il ché potrebbe essere il miglior argomento che abbiamo mai avuto per cambiare quelle regole.

In un saggio del 2012 apparso nell'influente rivista scientifica Nature Climate Change, Anderson e Bows posto una sorta di sfida, accusando molti dei loro colleghi scienziati di non riuscire a fare chiarezza sul tipo di mutamenti che il cambiamento climatico richiede all'umanità. Su questo vale la pena citare la coppia in dettaglio:

"... nello sviluppare gli scenari sulle emissioni, gli scienziati minimizzano ripetutamente e gravemente le implicazioni delle loro analisi. Quando si tratta di evitare un aumento di 2° C, "impossibile" viene tradotto con "difficile ma fattibile", mentre "urgente e radicale" appare come "impegnativo" - tutto per placare il dio dell'economia (o, più precisamente, la finanza). Ad esempio, per evitare di superare il tasso massimo di riduzione delle emissioni dettata dagli economisti, "incredibilmente" antichi picchi nelle emissioni sono dati per scontati, insieme a nozioni ingenue sulla "grande" ingegneria e sui tassi di diffusione delle infrastrutture a basso tenore di carbonio. Più preoccupante, siccome i budget delle emissioni diminuiscono, allora la geoingegneria è sempre più proposta per garantire che il diktat degli economisti rimanga indiscusso."

In altre parole, al fine di apparire ragionevoli nei circoli economici neoliberisti, gli scienziati sono stati drammaticamente soft nel far circolare le implicazioni della loro ricerca. Ad agosto 2013, Anderson era disposto ad essere ancora più schietto, scrivendo che la barca aveva navigato oltre il cambiamento graduale. "Forse al momento del Summit della Terra del 1992, o anche a cavallo del millennio, livelli di mitigazione di 2° C avrebbero potuto essere raggiunti attraverso significativi cambiamenti evolutivi internamente all'egemonia politica ed economica. Ma il cambiamento climatico è un problema cumulativo! Ora, nel 2013, noi nelle nazioni (post-)industriali ad alta emissione siamo di fronte a una prospettiva molto diversa. Il nostro continuo e collettivo spreco di carbonio ha dilapidato ogni opportunità per il 'cambiamento evolutivo' offerta dal nostro precedente (e più grande) bilancio del carbonio a 2° C . Oggi, dopo due decenni di bluff e bugie, il rimanente budget a 2° C esige un cambiamento rivoluzionario per l'egemonia politica ed economica" (sua l'enfasi).

Probabilmente non dovremmo essere sorpresi che alcuni scienziati del clima sono un po'spaventati dalle implicazioni radicali persino delle loro ricerche. La maggior parte di loro stavano solo facendo tranquillamente il loro lavoro di misurazione delle carote di ghiaccio, facendo funzionare modelli climatici globali e studiando l'acidificazione degli oceani, solo per scoprire, come indicato dall'australiano Clive Hamilton esperto di clima ed autore, che essi "stavano involontariamente destabilizzare l'ordine politico e sociale".

Ma ci sono molte persone che sono ben consapevoli della natura rivoluzionaria della scienza del clima. E' per questo che alcuni dei governi che hanno deciso di mollare i loro impegni sul clima in favore dello scavare più carbonio hanno dovuto trovare modi sempre più criminali per zittire ed intimidire gli scienziati delle loro nazioni. In Gran Bretagna, questa strategia sta diventando sempre più manifesta, con Ian Boyd, il capo consigliere scientifico presso il Dipartimento per l'Ambiente, l'Alimentazione e gli Affari Rurali, che di recente ha scritto che gli scienziati dovrebbero evitare "di suggerire che le politiche sono giuste o sbagliate" e dovrebbero esprimere il loro parere "lavorando con consulenti incorporati (come me), e per essere la voce della ragione, piuttosto che del dissenso, nella sfera pubblica".

Se volete sapere dove ciò conduce, verificate cosa sta accadendo in Canada, dove io vivo. Il governo conservatore di Stephen Harper ha fatto un lavoro così efficace di imbavagliamento degli scienziati e di chiusura dei progetti di ricerca critici che, nel luglio 2012, un paio di migliaia di scienziati e sostenitori hanno tenuto un finto funerale sulla collina del Parlamento a Ottawa, in lutto per "la morte dell'evidenza". I loro cartelli dicevano: "Niente Scienza, nessuna prova, nessuna verità".

Ma la verità stauscendo fuori comunque. Il fatto che il perseguimento dei profitti e della crescita del business-as-usual stia destabilizzando la vita sulla terra non è più qualcosa che dobbiamo leggere sulle riviste scientifiche. I primi segnali si stanno svolgendo sotto i nostri occhi. Ed un numero crescente di noi sta rispondendo di conseguenza: bloccando l'attività di fracking in Balcombe, interferendo con i preparativi di trivellazione artica in acque russe (ad un enorme costo personale); portando operatori delle sabbie bituminose in tribunale per aver violato la sovranità indigena; ed innumerevoli altri atti di resistenza grandi e piccoli. Nel modello al computer di Brad Werner, questo è "l'attrito" necessario per rallentare le forze della destabilizzazione; il grande attivista climatico Bill McKibben lo chiama "gli anticorpi" in rivota per combattere "l'impennata di febbre" del pianeta.

Non è una rivoluzione, ma è un inizio. E potrebbe giusto farci guadagnare abbastanza tempo per comprendere un modo di vivere su questo pianeta che sia nettamente meno f **tuto.

Naomi Klein
 Foto di Mariusz Kubik

Naomi Klein è una premiata giornalista ed un'editorialista ed autrice di livello internazionale ed un bestseller del New York Times The Shock Doctrine: The Rise of Disaster Capitalism, ora uscito in edizione economica. I suoi libri precedenti includono il best-seller internazionale, No Logo: Taking Aim at the Brand Bullies (che è appena stato ripubblicato in una speciale 10th Anniversary Edition), e la collezione Fences and Windows: Dispatches from the Front Lines of the Globalization Debate (2002). Per leggere tutti i suoi ultimi scritti visita www.naomiklein.org. È possibile seguirla su Twitter: @ NaomiAKlein.

4 commenti:

  1. Noi stiamo rischiando l'autoeversione geofisica.

    La Terra, evidentemente può fare a meno di noi, ma non viceversa.

    Molto cinicamente, non me ne importa nulla del miliardo di sazi, me compreso, che si stanno preparando una dipartita crudele e anticipata. Tra vent'anni potrei esssere già cenere.E contemplo l'eventualità che possano essere anche meno di un paio di lustri.

    Ma non riesco a guardare faccia a faccia, negli occhi, chiunque non sia gravemente implicato in questa immane devastazione, e mentirgli spudoratamente.

    Tra cent'anni e non molto di più saremo, noi oggi vivi, tutti morti, questa sembra essera la stella polare della turbofinanza e turboeconomia contemporanea.

    Quindi, divoriamoci l'uovo, la gallina, e il pollaio.Del doman mai v'è stato certezza!

    Credo che solo un'ecatombe, intesa nel senso etimologico del termine, sacrificio di cento buoi, possa fermarci nel compimento della catastrofe.

    Ecatombe che se non fosse per le menzogne diffuse come pioggia a catinelle, su deserti assetati di verità, sarebbe già visibile a chiunque.Un'ecatombe come prezzo della catarsi salvifica.

    Marco Sclarandis

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    1. Caro Marco, le ecatombi, come ed ancor più d’ogni altra cosa, possono essere combattute. Non ho idee di come potrà andare l’esito del combattimento (a dire il vero ne ho, ma del futuro non c’è certezza) . A prescindere da tutto, comunque, credo che valga la pena di combattere per questa causa. Se neppure per questa, per quale?

      Un salutoa Marco e a voi tutti dal Panda

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  2. Grazie per l'opera di sensibilizzazione e di informazione che effettui per quelli come me che non hanno la voglia di andare a recuperare le notizie personalmente.
    Purtroppo vedo una contrapposizione di forze assolutamente impari: qualche scienziato e pochi attivisti da una parte e tutto il mondo economico dall'altra. Vale sicuramente la pena lottare... ma a mio parere è saggio contemporaneamente pensare ad una possibile mitigazione degli impatti a livello personale.
    In ogni caso grazie ancora. Pier

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  3. La “contrapposizione di forze assolutamente impari” è indiscutibile, ma è stato sempre così. La storia, almeno quella che nessun libro scolastico racconta, è stata sempre fatta da piccoli gruppi o singoli individui che hanno creato dal nulla possibilità prima completamente inedite. Albert Einstein, ad esempio, è ricordato oggi come l’archetipo dello scienziato accademico, ma l’origine del suo clamoroso successo teorico è avvenuta quando era un impiegato dell’ufficio brevetti ossia quando era null’altro che un appassionato. Analogamente imperi economici come la Apple sono sorti da piccoli garage (e non in grandi centri di ricerca industriale). Il volo meccanizzato è avvenuto per merito di due tecnici di biciclette e non ad opera degli intensi sforzi di ricerca dell’epoca. Quel che voglio dire è che i punti di rottura nel corso della storia non avvengono quasi mai ad opera di organi del sistema in essere. Praticamente sempre le grandi svolte avvengono in ambienti marginali, in piccole nicchie come le botteghe artigiane da cui prese piede il Rinascimento o nella stamperia di un Gutenberg qualsiasi o in ristrettissimi circoli massonici ecc…
    I grandi sistemi portano le varie ere a svilupparsi, fanno il lavoro monotono e di forza bruta. Ma le svolte radicali avvengono sempre dai piccoli ambienti marginali, “insignificanti” rispetto al sistema dominante. Ciò nonostante le piccole massonerie hanno scalzato i grandi imperatori e le loro aristocrazie da tutto il mondo. Ci sono riuscite non perché fossero più forti o migliori, ma perché i veri innovatori non fanno altro che scoprire alternative che si rivelano più adatte alle esigenze della nuova epoca che preme sulle rigidità di quella precedente.
    Ad abbattere questo malato sistema economico non saranno direttamente “qualche scienziato e pochi attivisti”, ma la nuova epoca che avanza. La vecchia non ha scelta, o si adegua cogliendo l’occasione offerta da “qualche scienziato e pochi attivisti” e muta radicalmente oppure la nuova epoca travolge la vecchia schiacciandola con la forza dell’inevitabile.
    Il gusto per “l’eroica rivoluzione” è un orpello inutile in questo genere di accadimenti. Mi rendo conto però che questo è un discorso troppo lungo per un commento.
    Comunque lottare per salvare questo pianeta e prepararsi personalmente a mitigare l’inevitabile periodo di turbolenza, come tu stesso sottintendi, non sono due alternative contrapposte, ma casomai complementari. Ben vengano entrambe quindi.

    Un saluto a Pier e a voi tutti dal Panda

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