martedì 5 novembre 2013

La neutralità della rete è un morto che cammina

Quanto segue è un articolo di Sandro Iannaccone pubblicato oggi su Wired.it e semplicemente riportato dal vostro affezionato Panda in modo letterale (si tratta infatti di un articolo rilasciato da Wired Italia sotto licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 3.0 Unported License).

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La neutralità della rete è un morto che cammina

La corte federale Usa sta per esprimersi sul cosiddetto principio di non discriminazione della rete, secondo il quale le aziende di telecomunicazione devono trattare tutti i siti allo stesso modo, non concedendo corsie preferenziali per il traffico di alcuni. Probabilmente la norma verrà abolita

05 novembre 2013 di Sandro Iannaccone



Abbiamo dovuto accettare con una certa dose di sgomento il Datagate. Ma se sapere che ogni nostra operazione online – telefonate, email, messaggistica, ricerche – è potenzialmente alla mercé delle intelligence governative non è stato esattamente piacevole, dall'orizzonte potrebbero arrivare presto nuove nubi a rendere ancora più fosco lo scenario della libertà online.
  Come racconta  Marvin Ammori su Wired.com, infatti, “la neutralità della rete è un morto che cammina”. Non è un concetto astratto appannaggio dei soliti smanettoni. Si tratta di qualcosa di rilevante per tutti. È in pericolo la norma che vieta alle grandi aziende di telecomunicazione di trattare utenti, siti web e applicazioni in modo diverso tra loro. Il cosiddetto principio di non discriminazione, grazie al quale gli utenti non devono chiedere il permesso di nessuno per inventare, creare, diffondere e condividere contenuti online. Una legge grazie alla quale, continua Ammori, “abbiamo tutti la possibilità di innovare anche senza l'avallo di un remoto manager di un'azienda di telecomunicazioni”.

Sembra che siamo a un punto di svolta. Non in positivo, purtroppo. Dopo otto anni di attivismo pubblico da parte dei difensori della libertà della rete, un giudice della Dc Circuit – una corte federale statunitense, la più potente della nazione dopo la Corte suprema – sta per abolire il principio di non discriminazione, adottato formalmente dalla Federal Communications Commission (Fcc) nel 2010. La questione, in realtà, era già iniziata cinque anni prima, quando l'allora ceo di AT&T confessò pubblicamente che l'azienda stava studiando un nuovo modello di business: far pagare un sovrappiù a società come Google e Yahoo! per garantire loro un servizio di rete affidabile e continuo. Nonostante gli utenti già stessero pagando l'accesso alla rete e Google e Yahoo! già stessero pagando altre aziende di telecomunicazione – i cosiddetti backbone providers – per connettersi agli utenti.

AT&T non era l'unica a voler lucrare sulla rete più di quanto stesse già facendo. Un dirigente di Verizon sostenne di voler porre fine a quello che definiva “pranzetto gratis” delle aziende internet. E, più o meno contemporaneamente, anche Comcast iniziò a  sperimentare segretamente servizi per bloccare alcune delle applicazioni più popolari del web, come BitTorrent. Questi piani, tuttavia, erano parzialmente mascherati: in modo apparentemente masochista, le aziende di telecomunicazioni sostennero una legislazione che avrebbe autorizzato la Fcc a fermarle nel caso tentassero di bloccare alcuni siti web, violando la neutralità della rete. Si trattava, come spiega Ammori, di un “falso compromesso”. Perché la norma “includeva un'eccezione che alla fine ha inglobato la regola”: la Fcc non avrebbe potuto impedire alle aziende di telecomunicazioni di tassare gli utenti e le società o fornire un servizio peggiore per alcuni siti e migliore per altri. Il che, naturalmente, si sarebbe tradotto in uno sbilanciamento competitivo pesantissimo derivante da una divisione arbitraria in buoni e cattivi.

Allora non successe niente di tutto ciò. Soprattutto grazie all'impegno di associazioni dei consumatori, aziende di tecnologia, leader politici e difensori della libertà online, che fecero quadrato attorno alla preservazione della neutralità della rete. E ottennero l'approvazione ufficiale della Fcc nel 2010, con il provvedimento che includeva il principio di non neutralità. Almeno finora. Verizon ha citato in giudizio la Fcc per invalidare la norma, e tutto sembra indicare che stavolta riuscirà a spuntarla. I giudici hanno infatti anticipato che “la Fcc ha l'autorità per imporre la regola di non bloccare i siti web, ma non quella per garantire il principio di non discriminazione”. Le implicazioni di quest'idea, qualora dovesse essere confermata ufficialmente, sarebbero piuttosto profonde. “Le aziende”, dice Ammori. “vivranno o moriranno non a seconda di quanto sono brave, ma sulla base dei contratti che riusciranno a stringere con AT&T, Comcast, Verizon e simili”. Lo stesso avvocato di Verizon non ne ha fatto mistero, sostenendo durante il dibattimento che “se non fosse per le regole attuali il mio cliente starebbe già esplorando accordi commerciali di questo tipo”. Si tratta sostanziasslmente di questo: chi vuole un servizio web affidabile e veloce dovrà pagare di più. Oppure finirà in fondo alla lista. Potrebbe essere la fine definitiva della meritocrazia. A meno che i giudici non ci ripensino.

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