martedì 27 marzo 2012

Cibo, emergenza ed opportunità

Se vogliamo poter sfamare i 9 miliardi e mezzo di terrestri che potrebbero popolare il pianeta intorno al 2050, dobbiamo iniziare un cambiamento gastronomico e culturale senza precedenti. Secondo gli studi delle Nazioni Unite, nei prossimi quarant'anni, sarebbe necessario raddoppiare la produzione mondiale di cibo, per nutrire i 2 miliardi e mezzo di terrestri che si aggiungeranno agli oltre 7 attuali. Il raddoppio della produzione di cibo non è però uno scherzo da realizzare. Al di là delle mere questioni tecniche (tutt’altro che trascurabili), basta ricordarsi che ancor oggi un miliardo di persone soffre la fame...

Il problema non è solo economico, politico e tecnologico, è anche geometrico: i terreni su cui creare nuovi campi o allevamenti scarseggiano (il pianeta Terra non è infinito e per due terzi circa è ricoperto dagli oceani). Anche le zone agricole attualmente in essere, poi, si sono ampiamente ridotte ed impoverite per via della desertificazione, della dilavazione dei suoli e dell’ipersfruttamento dei campi con tecniche inefficienti ed insostenibili (monoculture, lavorazione meccanica e trattamenti chimici aggressivi, ecc.).

Anche gli oceani ed i nostri mari sono stati ormai quasi completamente svuotati di pesci, quindi non si può sperare di ripiegare sulla pesca per compensare le attuali e future perdite agricole sempre più esasperate da eventi atmosferici distruttivi causate dei cambiamenti climatici già in atto. Tali cambiamenti inoltre comportano contemporaneamente un peggioramento delle condizioni degli oceani (con ulteriori perdite di massa ittica) e un loro innalzamento con gravissime perdite di campi agricoli nelle zone limitrofe alle coste (per tacere delle centinaia di milioni di persone che diverranno profughi in conseguenza di tale innalzamento). Sempre i cambiamenti climatici inoltre rischiano di farci restare perfino senza acqua dolce. La scarsità di quello che si appresta a divenire "il nuovo petrolio", ossia l’acqua dolce, farà sì che le guerre per accaparrarsi le riserve restanti finiscano per dilagare in lungo ed in largo per tutto il pianeta. Senza acqua non si beve (e la cosa non vale solo per le persone ma anche il bestiame degli allevamenti ) e non si coltiva granché. Le guerre che si scateneranno rischiano di pregiudicare anche quel po’ di attività agricole risparmiate da questa sequenza di catastrofi.

E allora? Siamo destinati ad un futuro infernale? All’estinzione?

Forse, ma sicuramente molto dipenderà dalle scelte che attueremo ora. Quali opzioni ci rimangono a questo punto?

Beh, non poche. Innanzitutto andrebbero favorite in ogni modo politiche demografiche restrittive su scala planetaria. Detto così può suonar male, ma non è poi questa disgrazia, se si pensa che la miglior politica di contenimento delle nascite è quella di fornire istruzione e pari dignità alle giovani donne. Più genericamente, una diffusione di più alti gradi di benessere e di maggiore sicurezza sanitaria e reddituale comportano naturalmente (ossia senza imposizioni) un sensibile abbassamento della figliazione. Una redistribuzione del reddito più equa, oltre che giusta ed economicamente molto proficua, ha pure, come effetto secondario, il non trascurabile effetto di contenere le nascite, consentendo un maggior tasso di istruzione che a sua volta contribuisce a migliorare le condizioni generali. Meno bocche da sfamare, meno problemi da affrontare e più benessere per tutti.

Nei decenni scorsi la popolazione terrestre è esplosa, seguendo quella che, eufemisticamente, è stata definita la "rivoluzione verde", vale a dire un radicale aumento della produttività agricola per lavoratore impiegato. Tale rivoluzione trae origine dell’impiego massiccio di fertilizzanti, diserbanti, anticrittogamici e prodotti chimici vari, unitamente ad un’estesa meccanizzazione nella lavorazione dei suoli. Tale “rivoluzione”, in ultima analisi, poggia esclusivamente su una sterminata disponibilità di combustibili fossili a basso costo. Proprio questa disponibilità è oggi venuta meno e continuerà a scemare in futuro, rendendo impossibile il mantenimento del modello agricolo attuale a parità di resa e costi. I combustibili fossili quindi non solo hanno creato una sorta di trappola climatica che mette seriamente a rischio le future coltivazioni, ma anche una trappola alimentare, allettandoci con modelli di sviluppo agricolo completamente non-rinnovabili e scarsamente efficienti (le monoculture hanno senso sul piano industriale e commerciale, ma non sul piano di resa agricola di lungo periodo). La "rivoluzione verde” ha funzionato, moltiplicando momentaneamente la produzione di cibo e sostenendo una crescita demografica fuori controllo, ma al prezzo di consumare tre volte più acqua e di consumare risorse limitate quali gli idrocarburi ed il terreno fertile. Le tecniche industrializzate di coltivazione vanno quindi pesantemente riviste. L’abbandono delle piantagioni monoculturali intensive a favore di un’agricoltura che rispetti il suolo considerandolo un elemento vivo da valorizzare anziché un substrato ininfluente su cui appoggiare le piante in crescita è senz’ombra di dubbio il primo passo da fare. Bisogna poi accorciare le filiere ed aumentando la resilienza locale e globale. Bisogna aumentare la superficie a disposizione per le coltivazioni senza compromettere ulteriormente gli ecosistemi, favorendo in ogni modo l’agricoltura urbana e l’agricoltura verticale. Bisogna ridurre la dipendenza da strumenti legati all’aratura del terreno, limitando l’uso dei mezzi meccanici ad operazioni a basso impatto sullo strato di terreno fertile. In quest’ottica sarebbe fortemente auspicabile la diffusione su vasta scala di trattori elettrici ricaricati tramite elettricità prodotta sul posto per mezzo di impianti eolici, mini-idroelettrici, fotovoltaici e a biomassa. Questo intervento permetterebbe da solo di abbattere i costi, ridurre fortemente le emissioni di gas serra e rendere l’intera filiera alimentare indipendente dal gasolio agricolo (di cui è facile prevedere un forte e costante rincaro del prezzo negli anni a venire).

Dal lato dei consumatori, le possibilità d’intervento sono enormi. Basta una riduzione del consumo di carne bovina, ad esempio, per avere una mini-reazione a catena. Meno carne bovina vuol dire meno spreco di acqua, poiché l’allevamento bovino ne fa un uso molto intenso. Vuol però dire anche riduzione delle emissioni di gas serra, perché, può sembrare strano, ma le mucche emettono grandi quantità di gas serra a causa dei loro processi digestivi. Ridurre il consumo di la carne bovina poi significa espandere la quota di terreni agricoli destinati ad alimentare gli esseri umani anziché appunto i bovini, consentendo di sfamare molta, molta, moooolta più gente. Ridurre l’abuso del consumo di carne a favore di una dieta più variegata e ricca di vegetali, inoltre, comporta un forte miglioramento nella salute a lungo termine, ossia si possono così evitare numerosissime malattie croniche e le loro conseguenze non solo su di noi ed i nostri cari, ma anche sui nostri portafogli (l’assistenza sanitaria a pazienti con malattie gravi e croniche è estremamente costosa oltre che triste). Sui grandi numeri, avere una popolazione più sana comporta non solo recupero di efficienza economica diretta, ma anche minor costi ambientali (le industrie farmaceutiche e le strumentazioni mediche infatti sono fonti di inquinanti pericolosi, compresi quelli radioattivi). Estendere la coltivazione di frutta e verdura al posto dell’allevamento bovino inoltre contribuisce a recuperare anche risorse ittiche (parte del pescato finisce nei mangimi animali).

Sempre parlando di dieta, inoltre i cittadini possono iniziare ad introdurre cibi attualmente scarsamente valorizzati quale le alghe e gli insetti. Può far ribrezzo a qualcuno, ma potete sinceramente dire se tra un gamberetto fritto e una locusta c’è poi tutta questa differenza? Perché consumare insetti è importante? Per diverse ragioni. Innanzitutto il rapporto di conversione tra mangime e carne consumabile è incredibilmente superiore alle carni tradizionali ed ancor di più se confrontato con la carne bovina. Oltre a ciò inoltre vi sono ragioni legate alla sicurezza sanitaria ed alimentare. La trasmissione di malattie tramite l’ingestione di carne di mammiferi come noi è più facile rispetto ad una dieta insettivora, inoltre le “razze” di insetti commestibili sono incomparabilmente più variegate di quelle di ovini, bovini e pollame. Un maggior assortimento di carni non vuol dire solo una dieta più variegata, ma anche una maggiore biodiversità e quindi una maggiore sicurezza alimentare. Se nel mondo si diffonde una manciata di “razze” da carne per via di logiche commerciali, se si scatena un contagio come nel caso dell’aviaria, tutti gli allevamenti nel mondo sono a rischio e quindi anche la loro produzione di carne. L’allevamento di insetti ha però altri vantaggi: richiede meno spazio e meno risorse, permettendo allevamenti diffusi praticamente ovunque. Inoltre crea meno scarti e, visto i tassi di crescita degli insetti, non è necessario imbottire le bestiole di ormoni ed antibiotici fino al midollo come viene invece fatto per il bestiame tradizionale (e anche da questo avremo da guadagnarci in salute, oltre che in soldi e minor inquinamento).

Un’altra opzione sono le alghe: semplici organismi monocellulari, che crescono molto rapidamente ed anche in condizioni difficili. Le alghe, inoltre, possono essere utilizzate per un'enorme varietà di usi, come cibo per animali, o fertilizzanti naturali e perfino come bio-carburanti. Un ulteriore possibile impiego delle alghe, poi, è come alimento per gli esseri umani. Come nel caso degli insetti, può sembrare strano a noi occidentali, ma è solo un nostro limite mentale: succede già, le alghe sono un alimento abituale nel menù di milioni di persone Oriente. Analogamente, il consumo di migliaia di specie di insetti è largamente diffuso in oriente, Africa ed America Latina ed in molti casi sono ritenute vere e proprie leccornie pregiate. Come ha fatto notare qualcuno, in natura sia gli insetti sia le alghe sono mangiati da creature di ogni genere e sorta (com’è ovvio essendo organismi posti alla base delle catene alimentari), praticamente tutti li mangiano, o per meglio dire: tutti ad eccezione del consumatore medio occidentale! Quest’ultimo, pur di non mangiarli, preferisce andare piuttosto in un fast-food, seguendo una nota perversione mentale che lo illude di mangiare in tal modo qualcosa di più nobile o se non altro “meno schifoso”. Quanti di queste persone però hanno mai messo piede in una fabbrica di lavorazione industriale delle carni e prima ancora in un macello industriale ed innanzi in un allevamento intensivo? Se fosse la “nostra” cultura gastronomica dovremmo conoscere e percorrere quei luoghi con disinvoltura, ma non lo facciamo. Il fatto è che mangiamo bistecche di cui consapevolmente non vogliamo saper nulla. Questa ossessione per l’ignoranza costi-quel-che-costi (anche la vita!) la si può veramente spacciare per cultura gastronomica? O forse subcultura massificata e consumismo spinto sarebbero definizioni più azzeccate?

Chi pensa che una dieta ricca di insetti sia una fissa da “morti di fame” o di qualche strambo ecologista (per non dire peggio) si sbaglia. L'Unione Europea ha recentemente stanziato un finanziamento di 3 milioni di euro per ciascun paese membro che favorisca l'introduzione degli insetti in cucina. Non solo: chiunque mangi passate di pomodori e semilavorati vari ha pressoché la certezza di consumare una buona dose di insetti nella sua dieta. L’unica differenza rispetto a quelli asiatici (oltre al fatto di passare inosservati) è che non solo non specificatamente allevati e selezionati in base alle nostre esigenze alimentari, ma, così come la frutta o verdura che li camuffa, sono sicuramente stracolmi di pesticidi (a cui si adattano per altro con straordinaria rapidità).

A questo punto si potrebbe parlare anche della carne artificiale: esperimenti per fare crescere hamburger in laboratorio sono a uno stadio molto avanzato. Favorendo questo tipo di ricerche si potrebbe presto giungere a lotti di carne coltivati in provetta e quindi privi di scarto oltre che delle inumane sofferenze legate all’allevamento intensivo. Si potrebbe però parlare anche di tecniche “verdi” per l’allevamento di specie ittiche (al posto della pesca devastante o degli allevamenti tradizionali che sono molto inquinanti oltre che insostenibili). Insomma si potrebbe parlare di permacultura, chilometro zero, serre verticali, agricoltura geo-referenziata, compostaggio, Slow food e tanto altro ancora e, tuttavia, saremmo sempre e solo nell’ambito delle opzioni alternative nel solo ambito alimentare.

Non sono le opzioni che mancano e nemmeno le tecnologie o le idee. Quel che manca è la consapevolezza del consumatore medio, che, come lo schiavo di una volta, non solo è schiavo, ma pensa pure che vada bene così. Qualcosa però sta cambiando. La crisi da sempre più aria a braci ardenti che hanno sonnecchiato a lungo sotto le ceneri di una civiltà dedita a trasformare tutto in quello appunto: cenere. Da quelle braci, fatte di milioni di giovani vite e dai loro sogni e speranze, “rischia” di scatenarsi un clamoroso incendio che infiammi il mondo intero con una fiamma chiamata che non brucia né consuma, ma scalda: una fiamma chiamata attivismo!


Buon futuro a tutti dal Panda, ovunque voi siate e qualsiasi cosa preferiate mangiare.

2 commenti:

  1. Caro Panda, condivido tutto l'articolo eccetto la ripulsa all'idea dell'insetto in tavola (sebbene io riconosca che hai ragione, ragionissima, ma l'insetto lo detesto pure a vederlo!).
    L'unica cosa su cui sarei in dubbio è la carne da laboratorio: mi suona un po' come gli OGM, o anzi molto peggio. Così, a naso, ad istinto. Ma non si può proprio fare non dico affatto senza, ma una drastica riduzione di carne, di carne naturale, come un tempo, in cui la mangiava solo per le grandi occasioni??!?
    Non basterebbe?? La carne artificiale però no, proprio no ... piuttosto gli insetti, davvero!

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  2. Caro/a Anonimo,
    accolgo con gioia le tue giuste osservazioni e, dopo averci pensato un po’ sopra, ecco a cosa è giunto il Panda.
    Per la repulsione verso gli insetti, il fatto andrebbe considerato alla stregua delle intolleranze alimentari o delle allergie. Tralasciando questo fattore personale e relativamente minoritario, rimane quindi sensato pensare che la maggioranza degli occidentali non magia insetti per una repulsione culturale e non per una fobia specifica. C’è quindi speranza che, nel rispetto delle specifiche caratteristiche di ognuno di noi, la massa enorme di persone che ora mangiano in un determinato modo, possano modificarlo in futuro, con consapevolezza ed amore, indipendentemente dal fatto di divenire o meno “insettivori”.
    Per quanto riguarda la carne artificiale, la considererei una possibilità da valutare. Stiamo parlando dell’opportunità di nutrirsi senza infliggere sofferenza e morte ad un’animale senziente, nonché di “allevare” carne senza “sprechi” come: interiora, ossa, pelo, unghie, ecc... Come per gli OGM, anche per la carne artificiale dovrebbe comunque valere il principio di prudenza, ma stiamo parlando di una tecnologia che non è giunta a termine neppure nei laboratori di ricerca. Si tratta quindi di una tecnica di cui ancora si sa poco o nulla. Prima di scartarla o adottarla aprioristicamente dovremmo concedergli tempo di mostrare se sia o meno un’alternativa realizzabile e a quali condizioni.
    Comunque la si pensi, è innegabile che la situazione alimentare del pianeta rischia di divenire drammatica, se non cambierà presto qualcosa. Ogni possibile alternativa, quindi, per quanto bizzarra possa apparirci ora, merita attenzione. Giudizi sommari, preconcetti e distrazione sono ora più insostenibili che mai. Il futuro ce lo giocheremo miscelando la prudenza (necessaria per evitare nuovi disastri) e l’innovazione (necessaria per contrastare i disastri già in atto). Si tratta di un equilibrio non facile, che richiede molta razionalità, ma indispensabile per la sopravvivenza futura di miliardi di esseri umani. Un equilibrio culturale, purtroppo, che è estraneo al principale modello economico attuale: il consumismo iperliberista. Economia e cultura sono un sistema unico, i cui i due poli si influenzano a vicenda. Per questo motivo, non c’è nessuna speranza, neppure economica, fintanto che la quasi totalità delle persone considererà “assolutamente normale” consumare cibo-spazzatura, standardizzato, tossico, lavorato ed impacchettato industrialmente, trasportato per migliaia di Km, nonché allevato, pescato o coltivato con tecniche completamente insostenibili da parte lavoratori l’iper-sfruttati.
    Con questa “cultura” dominante, non c’è speranza!
    Anzi no, forse una speranza c’è… Più di una! Persino molte!
    Sono i singoli che si staccano da questa sub-cultura alimentare che ha trasformato pesca, allevamento ed agricoltura da processi rinnovabili ad attività minerarie, stile: “finché ce n’è saccheggia, poi si vedrà!”. Ogni persona che, con piccoli gesti quotidiani, si distacca da questa concezione del cibo (e del mondo) è una splendida speranza per il futuro: una splendida stella che brilla nel buio anonimo e triste della disperazione di massa. Il Panda, quindi, brinda a tutti questi splendidi mini-eroi ed anche a te, mio caro/a Anonimo, che, ne son certo, è già da un pezzo che “brilli”. Grazie!

    Saluti a tutti dal Panda

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