giovedì 23 dicembre 2010

"Kite gen" vs. "L'Italia che si arrangia"


Kite gen, l'ambizioso ed innovativo progetto di Massimo Ippolito sta crescendo. Avanza, lentamente, ma inesorabilmente, facendosi largo tra mille avversità. Per chi non lo sapesse, il Kite gen è una tecnologia eolica di nuova generazione che ambisce ad intercettare e sfruttare i veloci e costanti venti d'alta quota usando appunto i kites (ossia aquiloni a profilo alare simili a quelli usati nel kite surf, ma molto più tecnologici). Pur essendo una tecnologia sperimentale, Kite gen rappresenta a livello mondiale la punta di diamante dell'eolico d'alta quota ed è una tecnologia tutta italiana.
Per maggiori informazioni sul progetto ecco il link al sito del Kite gen. E' anche possibile vedere al riguardo uno dei tanti video su YouTube. Chi fosse invece interessato a sostenere finanziariamente il progetto come piccolo investitore può contattare la WOW S.p.A. (che sarebbe poi la sigla per Wind Operations Worldwide S.p.A.). Chi volesse infine approfondire gli aspetti tecnici legati alle potenzialità del progetto, può leggere l’interessantissimo articolo del 2009 scritto dal professor Ugo Bardi su TheOilDrum  .

E l’Italia cosa fa? Sostiene il progetto con fondi pubblici? No! Peggio ancora, lo fa solo a parole (ossia non stanzia i soldi che aveva promesso). L’Italia allora sta a guardare senza far nulla? Nemmeno! L’Italia si oppone


Per chiunque conosca le tristi vicissitudini legate alla disagevole nascita del prototipo del generatore eolico d'alta quota, è sconfortante constatare quanto sia concreto e tangibile il luogo comune che vorrebbe l'Italia un paese patologicamente avverso all'eccellenze, delle quali tuttavia è tanto ricco. Siamo in effetti il paese che ha costretto all'esilio personaggi della statura del premio Nobel Carlo Rubbia. Siamo il paese che storce il naso, quando non sputa in faccia apertamente, all'eolico ed al solare a concentrazione con sconvolgente superficialità. Siamo il paese che, pur sospettando un forte interessamento di tipo finanziario/mafioso, con altrettanta superficialità, sogna e vaneggia un tardivo revival del nucleare e di velleitari ponti sullo stretto.

Qualcuno dirà che siamo anche il paese che sforna a getto continuo ("riforme" universitarie permettendo) scienziati e ricercatori di altissimo livello. E' vero, ma lo facciamo ad esclusivo vantaggio di altri paesi. Noi italiani, in altre parole, ci sobbarchiamo l'onere di formare le eccellenze nostrane (lavoro arduo e dispendioso), poi le cacciamo a pedate fuori dai confini nazionali ed infine compriamo a caro prezzo la tecnologia ed i prodotti che quelle eccellenze hanno creato nei centri di ricerca stranieri. Così facendo, oltrettutto, appesantiamo con insostenibili costi extra la sempre più moribonda ed arretrata industria nazionale.
La risposta politica (se così si può definire) a tale sconsolata situazione è stata, fin ad oggi, il costante e pesantissimo taglio dei già risicati fondi destinati alla ricerca. Dico "fino ad oggi" solo perchè, per il futuro sarà ben difficile fare ulteriori e significativi tagli, essendo arrivati al cosiddetto fondo del barile.
Non si speri poi nel settore privato. Le grandi imprese italiane, oltre ad essere tradizionalmente restie ad investire in nuove tecnologie, ultimamente sembrano completamente assorbite dall'intento di estendere le proprie rendite a scapito del sistema ed a comprimere il "costo" del lavoro oltre ogni logica. Un modello-Cina con l’Euro al posto dello Yuan ed il conservatorismo ottocentesco al posto dell’innovazione a tutti i costi.
Per quel che riguarda invece le piccole e medie imprese, capita a volte che svolgono riceca applicata con regolarità, ma lo fanno in modo del tutto inconsapevole, autarchico, marginale e disorganizzato.

Le occasioni perse in tal modo sono infinite e le inefficienze ormai strutturali e stratificate. Questo atteggiamento avverso alla ricerca e all'innovazione del nostro sistema paese, lungi dal essere un argomento di interesse puramente accademico, ha già creato gravi conseguenze. In particolare ha pesantemente abbassato la competitività dell'Italia sui mercati internazionali, con conseguente e pesantissima erosione delle esportazioni. Il mercato globale ormai da decenni chiede efficienza, conoscenza e tecnologia e l'Italia semplicemente non si è adeguata. L'arte d'arrangiarsi che, nell'immaginario collettivo, rappresentò la forza del miracolo economico italiano, da virtù si è trasformata in pretesto per non investire mai nel cambiamento. Proprio l'italica arte d'arrangiarsi, che spesso si rimprovera ai giovani d'aver perso, rappresenta oggi un grave limite culturale. Un problema culturale ben più vasto e profondo di quello scientifico/tecnologico che a sua volta causa. Un problema che si oppone a qualsiasi tendenza alla razionalizzazione e al rinnovamento. Ecco quindi passivamente accettata una classe politica ed imprenditoriale ultrasettantenne (quando non ultraottantenne). Ecco i baroni che scacciano i giovani più brillanti per far largo ai loro pargoli. Ecco l'illegalità tollerata e a volte agognata. Intanto poi in un qualche modo si sistema tutto...

E invece no: il mondo è cambiato. Arrangiarsi con un po' di scaltrezza non basta più. Servono investimentio copiosi e costanti in Ricerca e Sviluppo. Si deve studiare. Si deve conoscere. Si deve imparare dalle eccellenze all'estero. Si deve costantemente rimanere al passo con realtà economicamente e tecnologicamente tumultuose. Altrimenti si cade di sella ed il mondo, come un cavallo imbizzarrito, non si ferma ad aspettare.

Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti, ma molti si illudono che siano solo i sintomi della crisi economica internazionale, "ciclica e temporanea" come le precedenti. La crisi c’è, ma a quella finanziaria ed internazionale, per l’Italia si aggiunge una pesantissima crisi strutturale a cui è già seguita un esodo inarrestabile di industrie di lunga data. Una crisi strutturale o la si affronta o la si subisce. Aspettare che il peggio passi (come si farebbe con la solita crisi finanziaria di turno) non serve, anzi, rimandando le soluzioni di problemi che non possono più attendere, rischia di rivelarsi un errore fatale.

Ci sono casi però, tanto rari quanto preziosi, in cui le italiche eccellenze di cui si parlava non scappano e non sono neppure schiacciate dall'ingrato ed ostile Stivale. Casi come quello del Kite gen. Se il prototipo in costruzione dovesse mantenere, anche solo parzialmente, le aspettative, l'Italia si troverebbe di colpo ad avere, rispetto al resto del mondo, un vantaggio tecnologico impressionante nel vasto mercato dell'energia eolica. Nel migliore delle ipotesi addirittura un vantaggio assoluto nel mercato dell'energia tout-court. In altre parole, se il prototipo di Kite gen fosse un successo, l'Italia si ritroverebbe in mano (suo malgrato) un vantaggio tecnologico/competitivo letteralmente rivoluzionario in un campo fondamentale, per non dire strategico e non solo dal punto di vista economico. Un vantaggio sul terreno delle rinnovabili a ridosso di una possibile svolta globale verso quel tipo di approvvigionamento energetico. E' un'occasione storica per l'Italia e, se le previsioni sul Picco del Petrolio sono giuste come sembrano, per il mondo intero. Ciò nonostante sulla vicenda, come sul geotermico di nuova generazione e su tanti altri argomenti analoghi, grava un silenzio mediatico e politico che definire imbarazzante è dire poco.
Un silenzio assordante ed assolutamente bipartisan.

Per questi motivi il Panda tiene le dita incrociate e fa il tifo per questo meritevole progetto di ricerca applicata. Un tifo sfrenato ed il più rumoroso possibile.

Buon futuro a tutti dal Panda.

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