venerdì 11 maggio 2012

A cosa servono i soldi?

La civiltà umana deve affrontare la più radicale ed esaltante sfida culturale di tutti i tempi. Prima di poter parlare di questo tuttavia devono essere fatte delle riflessioni sull’argomento più caldo del momento: i soldi. Pare strano, infatti, che una società tanto ossessionata dal denaro come la nostra trascuri questa banale ma fondamentale domanda: a cosa servono i soldi?

Facile, risponderebbe un’economista, i soldi servono a scambiarsi utilità. Lo scambio d’utilità potrebbe avvenire anche tramite il baratto, ma non senza forti inconvenienti. Col baratto, infatti, l’utilità che, ad esempio, può essere creata da chi sa far scarpe e quella di chi sa coltivare ortaggi dovrebbero coincidere in termini di tempistiche, quantità prodotte e domandate, modalità e rapporti di scambio, altrimenti calzolai ed ortolani rimarrebbero calzolai affamati ed ortolani scalzi. Il baratto è complicato e rende di conseguenza raro lo scambio d’utilità. Un’economia basata sul baratto è un’economia con poche transazioni economiche e quindi un’economia dove tutti devono saper far tutto, ossia un’economia in cui specializzarsi è molto difficile. I soldi, sono un sistema nato per risolvere questo tipo di problemi. Traggono origine dalla necessità di semplificare lo scambio di utilità. L’unica questione su cui accordarsi, usando il denaro, è infatti il prezzo monetario e questo viene determinato solo parzialmente dalle due controparti. Il prezzo di scambio è soggetto alla legge di mercato e scaturisce in buona parte dal rapporto di forza tra domanda ed offerta a livello aggregato nel mercato di riferimento: il denaro, pur salvaguardando la libertà di contrattazione delle parti, rende comunque difficile trovare un melanzana che costa 100.000 euro o un paio di scarpe a 2 centesimi. Il denaro semplifica enormemente lo scambio, poiché alle parti rimane semplicemente da contrattare il prezzo all’interno delle indicazioni di mercato. Tale semplificazione estrema rispetto al baratto rende gli scambi di merci e servizi (e dell’utilità che essi incorporano) assai più frequenti in un’economia monetaria. Ciò favorisce la specializzazione del lavoro, rendendo tutti più soddisfatti. Il denaro è quindi come una sorta di lubrificante che aiuta le persone a scambiarsi utilità reciprocamente. Sì, proprio a questo servono i soldi.

Tutto semplice e razionale?

Micca tanto! La vera domanda da porsi, infatti, è...

...perché ci si debba scambiare utilità? I soldi facilitano lo scambio, ma perché dev’esserci scambio? Beh, ovvio, si dirà, per controbilanciare lo sforzo che occorre ad ognuno di noi per creare l’utilità che qualcun altro consumerà al nostro posto. Questa risposta cela tuttavia un fondamentale e trascurato presupposto, senza il quale, non solo il denaro, ma neppure lo scambio, avrebbero motivo d’esistere. Questo presupposto è la scarsità.

Un esempio aiuterà a comprendere meglio. La semplice aria fornisce ad ognuno di noi una grandissima utilità (chi ne dubitasse provi a soffocare, strangolarsi od annegare e si convincerà rapidamente). Nonostante l’enorme e vitale utilità dell’aria, tuttavia, nessuno paga per l’aria, nessuno la vende o la compra. Perché? Perché (grazie al cielo) è abbondantissima ed immediatamente disponibile a tutti. L’abbondanza è antitetica ed inconciliabile con il denaro e con lo scambio. I soldi, infatti, sono nati proprio per risolvere il problema della scarsità di risorse. Quella è la loro unica ragion d’essere. Sono stati una buona soluzione, in quell’ambito. Un’ottima soluzione, ad esser sinceri. Una soluzione (nonostante i molti e gravi difetti) tanto potente da aver sorpassato paradossalmente la propria stessa utilità. I soldi hanno innescato un’economia abbastanza solida da arrivare a creare una specializzazione del lavoro sempre più spinta, che ha permesso di creare e scambiare sempre maggiore utilità con efficienza via via più elevata. Questo processo ricorsivo di specializzazione ha portato il genere umano dalle caverne ai computer. Fantastico! Checché se ne parli male, verrebbe quindi da esclamare “evviva il denaro”!

Tutto bene quel che finisce bene quindi?

Non direi proprio: la crisi economica attuale e la disperazione di tanti milioni di persone dove le mettiamo? E gli infiniti orrori, sfruttamenti, tradimenti, soprusi, disastri, omicidi e guerre che sono stati compiuti in nome e per conto del dio denaro? Ed il collasso ecologico che tutto ciò ha generato? Dove collochiamo questo aspetto del denaro? Quante centinaia di milioni di morti sono state consumate sul suo altare nel corso della storia?

È proprio il caso di dire che non è tutto oro quello che luccica. Ma quali alternative ci sono al denaro? Ecco un’altra terribile domanda. Questa, almeno, se l’è posta un sacco di gente. Il denaro spinge a fare scelte e compromessi discutibili e spesso odiosi ed odiati. Ovvio quindi che si tenti di trovare un’alternativa. Pare tuttavia che nessuno sia mai riuscito a trovare nulla di meglio. Pure nel più severo regime comunista i soldi sono sempre circolati. Non trovando nessuna alternativa altrettanto convincente del denaro, la maggior parte della gente è giunta a concludere che il denaro è un male, ma probabilmente il minore dei mali. Dopo questo pensiero ed un sospiro sofferto di cocente delusione, se n’è fatta una ragione ed ha continuato con il solito tram-tram.

Per quanto possa apparire sensata e realistica, il vostro affezionato Panda non concorda affatto con questa diffusa opinione. Sia ben inteso, non è la risposta ad essere insensata, è la domanda che la precede ad esserlo. La domada “quali alternative ci sono al denaro?“ è tendenziosa ed ingannatrice. La domanda “giusta” dovrebbe essere: quali alternative ci sono allo scambio? In fondo il denaro è solo un mezzo, ma la questione di base è lo scambio. Perché siamo così legati allo scambio economico da non poter concepire nessun altra alternativa credibile?

Forse perché la scarsità di risorse, in passato, era un nemico troppo forte e pericoloso da sfidare. In un mondo dove la maggior parte delle persone aveva il problema di riuscire a mangiare al pasto seguente e in cui anche la più banale delle operazioni richiedeva un incredibile dispendio di forza fisica, era naturale ed inevitabile basare il sistema di scambi su qualcosa di più solido della sola fiducia nell’altrui persona. Nel corso dei millenni, l’assoluta scarsità di risorse da un lato e gli innegabili successi del denaro dall’altro hanno fossilizzato le menti degli esseri umani su un’idea ossessiva: l’accumulo di denaro appunto!

Oggi però, benché pochi abbiano avuto modo di accorgersene, le cose sono enormemente cambiate. L’attuale scarsità, non ha nulla in comune con la scarsità del passato che ha dato origine ai soldi. La scarsità attuale non è “naturale”, è indotta. Viviamo in una situazione storica di abbondanza senza precedenti. Scienza, tecnologia, specializzazione del lavoro ed energia a bassissimo costo hanno permesso di estrarre sempre più risorse naturali e quindi di creare e scambiare sempre più utilità. Il fatto però è che questo processo è stato abbastanza lento da essere difficilmente apprezzabile nella sua reale consistenza. Non è un fatto di intelligenza, è un problema di longevità. Se nel corso della propria vita si potessero sperimentate le condizioni di vita delle fasi storiche che ci hanno portato dal medioevo ad oggi, l’idea del denaro sarebbe assai diversa. Purtroppo nessuno vive abbastanza. È avvenuto un cambiamento radicale, senza eguali nella storia ed è avvenuto nel corso di poco più di due secoli. Poco rispetto al corso della storia, un battibaleno in termini evolutivi, nulla in termini geologici, ma decisamene troppo tempo per essere percepito distintamente da noi esseri umani. Ciò nonostante il cambiamento è avvenuto! I soldi hanno via via eroso la scarsità, riducendola da un fatto esistenziale ineluttabile ad un problema di redistribuzione ed equità. Dire che non esiste più scarsità in un momento di crisi come questo e per di più per bocca di un fervido sostenitore del picco del petrolio e dell’esaurimento delle risorse naturali può sembrare paradossale. E lo è, ma l’opposto di vero e falso e non paradossale. Il fatto è che la scarsità c’è ancora, ma è di natura completamente diversa rispetto al passato: ora non è più intrinseca, ora è completamente indotta dal denaro stesso. Il denaro ha bisogno di scarsità e dove questa vien meno, vi è un nemico da abbattere. Le industrie devono essere sovvenzionate e/o regolate per evitare la sovrapproduzione, devono essere posti dazi, barriere legali, economiche e burocratiche per “tutelare” le imprese meno efficienti rispetto a quelle più performanti, l’ obsolescenza programmata (ovvero la produzione di roba che si guasti il prima possibile per spingere il consumatore a ri-acquistarla) è tanto diffusa da non essere più nemmeno percepita dai consumatori, l’usa-e-getta non solo non viene scoraggiato, ma viene sovvenzionato più o meno occultamente tramite i soldi pubblici spesi per assorbirne gli enormi costi di smaltimento, inquinamento e danni collaterali vari (per lo più malattie e sofferenze sociali).

Gran parte delle conoscenze tecniche sono attualmente congelate da segreti industriali e/o militari e da brevetti il cui unico scopo non è tanto lo sfruttamento commerciale quanto piuttosto l’impedirne la diffusione. Lo scopo finale delle società detentrici di tali conoscenze “protette” è ottimizzare i flussi di cassa, ossia di denaro. Un modo diverso di descrivere lo stesso fenomeno potrebbe essere quello di constatare che le multinazionali (ossia le principali detentrici della potenza complessiva di calcolo, progettazione, ricerca e sviluppo) rallentano artificiosamente i progressi tecnici per consentire di ottimizzare il ritorno finanziario dei propri investimenti. Il successo sul mercato e la soddisfazione del cliente finale non bastano se si rivelano incompatibili con i piani di ammortamento e di pianificazione industriale già intrapresi. Ecco quindi spiegato perché tanti colossi industriali falliscono senza nemmeno tentare di modificare la propria offerta di prodotti. Il re-inventarsi è rischioso, complesso e costoso quando ci sono miliardi di euro in ballo.

Il loro problema è che produrre è divenuto sempre più facile ed economico. Troppo facile ed economico per chi si trova già nelle condizioni di poter produrre la “cosa giusta” senza dover ri-definire il proprio apparato produttivo e/o distributivo. Ciò mina la posizione di vantaggio guadagnata dalle organizzazioni che hanno fatto dell’accumulo di soldi la loro unica ragion d’essere: le società di capitale. Il denaro si è concretizzato in organismi sociali, le cosiddette corporation, il cui unico scopo (guarda caso) è proprio far soldi. Un esempio lampante di questa tendenza è il caso delle lobby della musica e dei film. Quello che viene genericamente definita “pirateria” altro non è che capacità produttiva eccedente (ed incurante del rispetto della legge ovviamente). Tutti si accaniscono contro la “pirateria” sul piano legale o morale, tralasciando il fatto che i settori non tutelati dal diritto d’autore sono tuttavia quelli economicamente più corposi. La tutela del diritto d’autore protegge i soldi, non gli autori, né il mercato nel suo complesso, né tanto meno gli utilizzatori finali. Se l’efficacia legale del diritto d’autore è opinabile, la sua attuale motivazione è chiarissima: tutelare la parte creativa/mentale a scapito della riproducibilità materiale. Quest’ultima è troppo facile e deve essere contenuta per consentire al denaro di accumularsi. L’esistenza stessa e la grande diffusione di brevetti e diritti d’autore è il più grande indicatore del grado di eccedenza produttiva attualmente in corso. Produrre beni e servizi è facile come non lo è mai stato prima nell’intero corso della storia umana. Non si deve pensare che tale eccedenza riguardi solo prodotti particolari come quelli altamente tecnologici o superflui e voluttuari. Chi non ha mai sentito parlare delle quote latte? Chi non ha mai visto quelle montagne d’arance schiacciate con i cingoli delle ruspe? Chi non ha mai sentito parlare di date di scadenza artificiosamente restrittive volte a spingere i consumatori a disfarsi di beni ancora ben lontani dal deperimento?

Non è un caso che nell’era della produzione facile si sia affermato il consumismo PIL-centrico come sistema di riferimento assoluto. Lo scambio monetario costi quel che costi non è solo l’apoteosi del successo del dio denaro, ma anche il sintomo della sua perdita di utilità reale. I soldi oggi non sono più una soluzione. Sono un problema. Un problema enorme che si sta pappando il mondo intero. La stessa crisi economica in atto o per meglio dire il collasso del sistema a cui stiamo assistendo è una conseguenza di quanto detto.

Come più volte ribadito, nella realtà in cui viviamo lo spreco non è più un evento accidentale dovuto alla noncuranza, ma un difetto sistemico e vitale per perpetuare e/o massimizzare rendite monetarie e finanziarie. Come fare a vendere il 30% in più di un bene maturo come il dentifricio (minimizzando i costi di sviluppo ovviamente)? Semplice, allargando del 30% il foro d’uscita e rendendo il dentifricio più liquido (quindi meno denso) in modo che il consumatore ne sprechi il più possibile. Casi come questo sono la norma del sistema di produzione e stimolo forzoso della domanda. Dietro a tutto ciò c’è ancora il denaro, benché oggi, a differenza del passato, si potrebbe produrre più di quel che occorre per vivere decentemente per tutti senza schiavizzare né sfruttare nessuno. Il progresso tecnologico uccide posti di lavoro senza sosta e chi continua a lavorare è costretto ad accettare condizioni sempre più precarie ed inique. Questo è negativo solo in una società dove bisogna aver soldi per vivere. Essere sostituiti da una macchina o un computer nello svolgimento di mansioni ripetitive e/o faticose e noiose non sarebbe un gran danno se da quel lavoro non dipendesse anche il proprio reddito monetario e quindi la propria capacità d’acquisto. Se si lavorasse per il gusto di farlo e non per i soldi, non avrebbe più alcun senso la disperazione di chi è disoccupato o la schiavizzazione di chi ha un posto di lavoro. Senza soldi non vi sarebbe necessità di produrre (e quindi consumare e gettar via) ciò che non è realmente e genuinamente desiderato dalle persone. Senza soldi non ci sarebbe più bisogno di tutelare i diritti economici di chi crea od inventa qualcosa ma al massimo si ricercherebbe la tutela della paternità dell’opera. Senza soldi licenze e brevetti non hanno ragione d’esistere così come segreti industriali: la conoscenza sarebbe spontaneamente condivisa (in fin dei conti siamo animali sociali che bramano di far vedere agli altri quel che sanno e sanno fare). Senza denaro non vi sarebbe necessità di lavorare più del necessario, né di sfruttare chi non ha soldi, né di sfruttare l’ignoranza di chi consuma i nostri prodotti, né di creare dipendenze psicologiche o chimiche. Senza soldi non ci sarebbe necessità di rubare o di corrompere. Non ci sarebbe nemmeno la tentazione di indurre gli stati a farsi la guerra, né i popoli ad odiarsi e a dividersi in assurde tribù chiamate stati. Senza soldi non ci sarebbe bisogno di chiedere alla Terra più risorse di quelle che è in grado di fornirci, né di creare monopoli e cartelli, né di organizzare il crimine su scala industriale.

Bel sogno, si dirà, ma come si fa a eliminare i soldi? Questa sì che è una strana domanda. I soldi sono solo pezzi di carta e sempre più spesso nemmeno quello, ma solo semplici numeri annotati sulla memoria di qualche computer. Il potere dei soldi deriva solo ed esclusivamente dalla fiducia che vi riponiamo. I soldi sono una concrezione sociale che si chiama fiducia reciproca. Se dovessi lavorare duramente per essere ripagato in pezzi di carta e fossi convinto che quei pezzetti di carta non potessero essere trasformati in un secondo momento in quel che desidero, semplicemente non andrei al lavoro. Ma mi fido e quindi lavoro. Se faccio lo stesso, ma tolgo i soldi di mezzo, continuo ad avere tutto quel che di buono hanno portato i soldi senza il male. Ora, a differenza del medioevo potrei correre il rischio di fidarmi del prossimo, perché so che il problema di mangiare non dipende dal fatto che manca il cibo ma solo da come viene redistribuito. E lo stesso vale per quasi ogni altra cosa.

I soldi sono inutili e dannosi, non favoriscono la creatività e la socializzazione e sono anche un insormontabile ostacolo alla felicità privata e collettiva (vi sono un’infinità di studi psicologici e sociologici che lo dimostrano ormai da decenni nell’indifferenza più assoluta). È ora di disfarsene. Senza se e senza ma. Occorre un nuovo patto sociale, una nuova “fiducia collettiva” basata sull’intelligenza anziché sulla consuetudine. Perché essere disposti a deformare tutta la propria esistenza per dei pezzi di carta o dei numeri su un pc, ma non per le persone con cui abbiamo la fortuna di condividere questo piccolo e bellissimo pianeta?
Sentite un po' come suona bene: Il Mondo è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro!
Non male eh?

Buon futuro a tutti dal Panda

1 commento: