martedì 17 aprile 2012

Crisi ?! E io torno al baratto... ma asincrono ! O se preferite 2.0 !



Come si fa a dare nuova vita alle cose che possediamo, ma che non ci servono più? Una possibilità è ricorrere al baratto 2.0, ossia al baratto asincrono. Reoose è una bella iniziativa web tutta italiana che fa del baratto la sua stessa ragion d’essere. Il baratto, tradizionalmente, richiede molto tempo e non è per niente semplice far combaciare i desideri delle due controparti. Oggi però, questa operazione può essere notevolmente semplificata grazie ad Internet. Non si tratta semplicemente di raccogliere e visionare le diverse offerte e domande d’oggetti. Reoose va oltre, reinventando il modo in cui la transazione stessa si svolge. Il passaggio cruciale è che, con una piattaforma web come Reoose, lo scambio non è più simultaneo (stile "io ti do... se tu mi dai..."), ma asincrono (io do... e, a fronte di quel conferimento, ricevo dalla comunità dei "punti" con cui, prima o poi, prenderò qualcos’altro ceduto da qualche altro iscritto).

È un processo semplice, in cui basta registrarsi e quindi caricare i propri annunci rigurdanti gli oggetti che si desidera cedere. Ad ogni oggetto “cedibile” il sistema assegna in automatico un numero di crediti che varia a seconda della categoria e dello stato (nuovo oppure usato) dell’articolo in questione. Quegli stessi crediti saranno effettivamente riconosciuti al cedente al momento della vendita. Cedendo oggetti si accumulano crediti che potranno essere utilizzati in un secondo momento, quando, esaminando gli annunci altrui, si dovesse scovare qualcosa che ci aggrada. A coloro che lo desiderano, inoltre, Reoose consente anche di “investire” i propri crediti (maturati dagli scambi precedentemente effettuati) in beneficenza, ossia di destinarli alle Onlus partner. Si tratta di gioco di squadra in cui tutti ci guadagnano: non solo chi fa un affare o il complesso degli aderenti alla comunità di scambio, ma anche chi non né fa parte grazie alla gran massa di oggetti ancora utilizzabili sottratti ad una rottamazione anticipata in discarica o peggio e grazie all’espansione della beneficenza fatta anche in assenza di denaro. Tramite la geolocalizzazione, per chi lo vuole, è possibile inoltre effettuare scambi a chilometro zero. Non male! Speriamo che questo genere di economia si diffonda ancor più rapidamente di quanto non abbia già fatto. Alla facciazza di quei "professoroni" che vorrebbero far ripartire il PIL a costo di affogare i consumatori sotto una montagna di IVA e di tasse balzello.

Mentre il capitalismo ultra-liberale, consumista, individualista ed iper-speculativo affonda ancor più clamorosamente e disastrosamente di quanto fece a suo tempo il Comunismo (ed Titanic ancor prima), sta silenziosamente, ma inesorabilmente emergendo una miriade di nuove forme economiche alternative, partecipative e solidali. È la cosiddetta Pop Economy (si veda anche qui oppure qui). Conoscerla e farla conoscere, oltre a far concludere qualche buon affare, può dare speranza e dignità ad un mondo che pare aver smarrito entrambe.

Buon futuro a tutti quanti dal vostro affezionatissimo Panda!

4 commenti:

  1. L'ho visto anche io, è intelligente come soluzione, ed è già tra i miei preferiti internet cartella "Decrescita".
    Saluti dalla solita "anonima" :-))
    Francesca

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  2. Ciao Francesca,
    grazie per il tuo sostegno e partecipazione. C’è così tanta gioia, entusiasmo e voglia di fare ancora inespressi per il solo fatto che le informazioni importanti (e corrette) stentano a circolare che a volte mi prende lo sconforto. Fa piacere sapere che non si è soli e ancor più che parte di quell’entusiasmo (ad esempio il tuo) proprio non ci sta a rimanere inespresso.

    Un saluto a te e a tutti quanti dal Panda

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  3. A proposito di decrescita, anche se vado fuori tema rispetto al post, tu sai qualcosa di preciso di cosa significhi in CONCRETO partecipare ad una città di transizione?
    Grazie anticipatamente
    Francesca

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  4. Riassunto all'estremo, quel CONCRETO vuol dire unire le forze localmente per tentare di creare strutture in grado di resistere all’urto con il picco del petrolio ed i cambiamenti climatici contemporaneamente. Sul piano pratico le possibili iniziative vanno dalla conversione di parchi e aree dismesse in boschi commestibili, all’organizzazione di orti condivisi, dalla la ricerca di una forte socializzazione alla ricerca e condivisione di saperi legati al fai-da-te, dalla diffusione delle monete locali alle più disparate iniziative a favore di un’economia locale (idealmente a chilometro zero). I sostenitori di solito formano dei gruppi che tendono ad utilizzare tecniche organizzative volte a facilitare sia la socializzazione dei componenti, sia la collaborazione interna ed esterna, sia l’identificazione di obiettivi, piani, strategie e risorse da utilizzare per giungere allo scopo finale: aumentare il più possibile la resilienza (cioè la capacità di resistere allo shock che ci si attende) a livello locale e favorire lo stesso processo a livello globale (cooperando con gli altri gruppi locali). Non c’è una ricetta prestabilita, dipende tutto dai membri che compongono i singoli gruppi e dalla realtà locale, nonché i rapporti che queste riescono ad instaurare con gruppi ecologisti, associazionismo ed autorità locali.

    L’aspetto pratico delle “città di transizione “ (o Transition Towns) ha comunque molto a che fare con il preparare le persone non solo economicamente, tecnologicamente e socialmente, ma anche e soprattutto psicologicamente a ciò che dovremo affrontare. Questo aspetto è tutt’altro che velleitario se si vuol passare dalle parole ai fatti. Il concetto è che le persone non cambiano per il solo fatto di sapere che la realtà attuale e le loro scelte non funzionano, serve sbarazzarsi tanto dell’ottimismo ottuso quanto del pessimismo paralizzante per passare all’azione. Bisogna motivare le persone se si vuole che considerino concretamente di cambiare il loro stile di vita. Questa “filosofia” può apparire “astratta”, ma è derivata dall’esperienza degli alcolisti anonimi ed è forgiata al più radicale pragmatismo che tu possa immaginare. Va da se quindi che l’aspetto CONCRETO di cui tu parli ha anche molto a che fare con la divulgazione, l’autoformazione e lo studio in generale.

    Personalmente ritengo che le “città di transizione “ siano un tentativo della società civile di sopperire al totale immobilismo autodistruttivo dell’attuale sistema politico/economico. Non è una strada facile (per niente!), ma è il meglio che si può tentare visto il tempo che rimane a disposizione prima di assistere a gravi segnali di cedimento strutturale del mondo così come lo conosciamo. Sperare che tutto si sistemi da sé non è sufficiente.

    Spero d'esserti stato utile.

    Ciao Francesca, buon futuro a te e a tutti dal Panda.

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