venerdì 13 gennaio 2012

Crisi?! Quale crisi?

Aveva ragione Silvio Berlusconi, quando, ancora premier, sosteneva che la crisi non esiste. In effetti dov’è questa crisi economica di cui si fa tanto parlare? Siamo onesti: la crisi economica non esiste, è solo una finzione televisiva. Certo ci sono difficoltà, ma il termine “crisi” è del tutto fuori luogo. Qualcuno ora penserà che, come a suo tempo il nostro ex-premier, il vostro Panda stia assumendo un atteggiamento iper-ottimista e fuori dal mondo, ma non è così. La situazione è chiara ed evidente. Si tratta solo di essere oggettivi: non siamo affetti da una crisi economica, per quanto grave, siamo dinnanzi...

...ad un collasso, ossia, se proprio si vuol usare la parola “crisi”, si può dire che siamo affetti da una crisi sistemica (e non "economica"). Non è la sola economia ad essere in difficoltà, ma l’intero pianeta Terra. Questo però non è un fatto che deve interessare solo gli amici ecologisti. I danni ed i morti per le “anomalie” climatiche già ora sono incalcolabili e di fato sono semplicemente taciuti (per quel che è possibile) dai mezzi di informazione. Le risorse a nostra disposizione sono in rapida diminuzione. Qualcuno avrà senz’altro sentito parlare del Picco del Petrolio, ma la realtà è che il nostro mondo (ovvero noi tutti e già da ora) si incammina a ritmo crescente verso un epoca fatta di scarsità di tutto. Non avremo più petrolio a basso e bassissimo costo, ma neppure carbone, né metano, né metalli, né cibo, né acqua dolce, né pesce, né…

… null’altro a basso costo.

Non è l’apocalisse dei Maya. Non riguarderà un lontano ed incerto futuro. Riguarda già ora le nostre vite con il prezzo del petrolio che non si placa nemmeno dinnanzi ad un collasso economico globale, con gli impianti di raffinazione del petrolio che chiudono in tutto il mondo (nonostante il prezzo del petrolio elevato), con la benzina a 1,8 euro, con il prezzo del pane che raddoppia, con il debito pubblico e privato che non viene ri-finianziato (in una crisi di fiducia incontenibile), con i giovani spogliati di diritti, tutele e servizi, con le pensioni future che sfumano, evaporando in un nulla di fatto, con le guerre tra poveri che riemergono da un passato che credevamo definitivamente sorpassato, con l’agricoltura messa in ginocchio e che sforna ogni anno sempre meno cibo e con tante altri fatti che non è il caso di elencare puntualmente. Non è necessario puntualizzare perché tutti, in realtà, sentono in cuor proprio che qualcosa è cambiato. Tutti, ottimisti, pessimisti ed ipocriti, al di là delle parole, sentono che qualcosa si è spezzato ed il futuro scintillante sognato da bambini e a cui si credeva di essere predestinati non vedrà mai la luce. Vacanze su Marte? Week-end sulla Luna? Macchine volanti? Ma sé è un problema persino fare il pieno di benzina o la carta igienica nelle scuole!

Vabbè, si dirà, ma che cambia se la si chiama crisi o collasso? I problemi rimangono quel che sono comunque li si chiami, giusto?

Sbagliato!

Se si pensa ai problemi attuali come ad una crisi momentanea, che potrà essere superata dopo un periodo di sacrifici relativamente breve, si tenderà a fare quel che si è sempre fatto, non si cercheranno nuove soluzioni, ma ci si limiterà ad applicare le solite vecchie strategie con maggior veemenza rispetto al passato. Nel far questo si aggraverà sempre più la situazione. Se ci troviamo dove ci troviamo ora, infatti, la causa dipende proprio dal solito modo di pensare e di agire. Tentare di riattivare la crescita economica "costi quel che costi" non farà altro che produrre danni sempre più estesi che andranno ad accumularsi a quelli che già ora non riusciamo più a contenere nè gestire. I danni aumenteranno e, data la crescente scarsità di risorse naturali ed economiche (ed alle tensioni socio-politiche correlate), la capacità complessiva del genere umano di porvi rimedio franerà a livelli infinitesimali rispetto a quelli di appena qualche anno fa.

Rendersi conto che dovremo affrontare una sfida paragonabile al collasso che dovettero affrontare gli antichi romani al termine del loro glorioso impero, non ha a che fare con lo stoicismo, ha a che fare con il pragmatismo. Se vogliamo risolvere o quantomeno mitigare i problemi che ci assalgono da ogni parte, dobbiamo incominciare a vederli ed a chiamarli per quel che sono. Possiamo farci travolgere dagli eventi, come gli antichi romani, e guardare la fine dei nostri sogni e valori. Oppure si può decidere d'agire, con risoluzione, giustizia e compattezza e fare come fecero coloro che l'Impero Romano lo costruirono. Le difficoltà possono essere le rampe di lancio per le civiltà che sono disposte ad affrontarle, ma per poterlo fare servono voglia di farlo e capacità d'interpretare la realtà in cui si opera con occhi sinceri. Se non si è nemmeno in grado di chiamare le cose col proprio nome, rifugiandosi in quel che si vorrebbe fosse vero perchè non si ha il coraggio di guardare le avversità negli occhi, pensate veramente che si abbia poi la forza di sistemare guai come i mutamenti climatici, la scarsità di risorse e la sovrappopolazione contemporaneamente?

E' ora di cambiare. Radicalmente. Bisogna cambiare a partir dalle parole che si usano per descrivere la realtà che ci appartiene. Se lasceremo che siano le lobbies, i politicanti ed i burocrati a dare un nome alle parole d'ordine, come credete che sarà il nostro futuro? Ed il presente?


Buon futuro a tutti dal Panda

2 commenti:

  1. Caro Panda,

    cio che dici è talmente giusto e condivisibile da essere quasi lapalissiano.
    Ma mi spieghi perchè sembra che nessuno lo capisca?

    Leo

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  2. Grazie Leo. Credo che il problema non sia però di “comprensione”, ma piuttosto di “accettazione”.
    Dopo aver passato una vita intera a dar per scontata la crescita economica infinita, è oggettivamente difficile ammettere che, non solo ci si è sempre sbagliati, ma che l’intera civiltà a cui si appartiene si è sempre sbagliata. In fin dei conti è una questione quantitativa: “un grammo” d’informazione dissonante non pesa (e non peserà mai) come “le mega-tonnellate” di informazione “ortodossa”.
    Non conta quanto sia elevata o meno la qualità dell’informazione dissonante rispetto a quella ortodossa: per ricredersi serve ben altro che il mero buonsenso. Dopotutto siamo esseri piuttosto irrazionali: quando, ad esempio, incontriamo uno sconosciuto, per correggere la nostra “prima impressione”, abbiamo bisogno di moltissime e forti evidenze che contraddicano le nostre previsioni derivanti da quell’impressione iniziale. Ora, se questo vale per un giudizio che si forma con scarsissime informazioni in una manciata di secondi appena, figurarsi che influenza può avere la plurisecolare tempesta informativa, mediatica e propagandistica generata da un’intera società volta a raccontarsi le meraviglie della crescita infinita. Temo purtroppo che, in genere, i fattori psicologici, sociali ed economici contingenti influiscano alla formazione delle opinioni assai più delle eventuali considerazioni razionaliste di carattere generale. E’ comprensibile che si faccia molta fatica ad accettare qualcosa che contraddice così radicalmente le proprie esperienze passate (scuola, politica, società, ecc…). Per avere un’idea della potenza dei fattori irrazionali sulla nostra psiche si pensi alla sgradevole sensazione di paura che si ha quando ci si trova a dover dire la propria opinione dinnanzi ad una vasta platea che forse non la condivide. Come il nazismo, lo stalinismo ed i settarismi di mezzo mondo hanno tristemente provato, siamo esseri sociali pesantemente influenzabili dal contesto sociale in cui siamo immersi. A tutto ciò poi bisogna aggiungere il fatto che la visione di decrescita appare quantomeno inquietante per chi è abituato a considerare un bene il “di più”. Convincere un liberista (consapevole o meno che sia di esserlo) riguardo alla bontà della decrescita economica, è perciò un po’ come convincere qualcuno a ribaltare le proprie più basilari convinzioni. Non allettandolo con una qualche visione positiva, bensì con scenari a torto o a ragione ritenuti sgradevoli (della serie: oddio allora saremo tutti dei morti di fame!).

    Non c’è che dire, si tratta di una bella sfida! Un’impresa che, per quanto ardua sia, merita di essere tentata!

    Un saluto a Leo e a tutti voi dal Panda

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