martedì 19 febbraio 2013

Cos'è l'intelligenza?

Nel post precedente abbiamo scomposto l’intelligenza in tre parti:

1 – Un generatore di elementi

2 – Un selettore di elementi

3 – Dei sistemi di memoria

L’ intima natura e la complessità delle relazioni che legano queste tre parti, per quanto possano essere (od apparire) sofisticate nei sistemi biologici, sono di fatto irrilevanti nel definire la “funzione intelligenza” nella sua natura astratta, generica e minimale.

Che cos’è l’intelligenza in termini effettivi? Qual è la sua natura ultima ed essenziale?

L’ipotesi del vostro affezionato Panda è che...

...l'intelligenza sia un ecosistema memetico. Così come materiale chimico, in determinate condizioni può finire col dar origine a materiale genetico, in modo analogo, materiale informativo, in particolari situazioni, può finire col creare materiale memetico. Ipotizzando che questo presupposto teorico sia corretto, l’intelligenza (umana e non) andrebbe letta ed interpretata come un ecosistema cognitivo piuttosto che come una sorta di “macchina senziente”. Secondo questa interpretazione, l’’intelligenza non è quindi qualcosa di analogo ad un programma od una macchina (le cui componenti sono fisse e prestabilite rigidamente da un progetto iniziale). L’intelligenza, in quanto ecosistema, sarebbe piuttosto un vero e proprio “ambiente”, estremamente plastico. I vari elementi che la compongono sono definiti nella loro forma e funzione in relazioni a tutte le altre parti del sistema. Le varie ”sezioni” che compongono l’intelligenza non sarebbero quindi meccanismi simili ad ingranaggi, ma entità relazionali. Se si preferisce, si può concepire l’intelligenza come una macchina “evolutiva”, ossia le cui componenti operano entro un amplio intervallo di possibili configurazioni e non entro un’unica configurazione preimpostata (come fanno le macchine costruite dall’uomo… finora). Da tutte le configurazioni potenziali possibili emergere semplicemente quella che, in quel momento, realizza l’equilibrio complessivo del sistema. Mentre lo schema di funzionamento un sistema non-intelligente resta fisso nel tempo, lo schema di funzionamento interno all’intelligenza varia nel tempo. Ed è proprio questo aspetto che rende l’intelligenza adattabile, ma sfuggente.

La difficoltà di definire precisamente i meccanismi di funzionamento dell’intelligenza può essere frustrante se la si vuole ingegnerizzare. Prima di tentare quel passo, tuttavia, occorrerebbe avere un’idea di cosa si sta tentando di fare. E’ pericoloso tentare di realizzare qualcosa di cui si ignora completamente la natura profonda. Pericoloso e dispersivo.

La lunga storia dei tentativi di volo meccanico che hanno preceduto l’aviazione moderna può essere d’aiuto per capire non tanto cosa sia l’intelligenza, quanto i possibili errori sistemici che tendiamo a commettere quando proviamo a creare qualcosa di “eccezionale”. Operando per analogia ed avendo sotto gli occhi l’esempio degli uccelli, per millenni inventori e grandi pensatori hanno cercato di far volare l’uomo replicando il complicatissimo sistema alare dei volatili. Il mito di Icaro sintetizza bene lo stile di quell’approccio al volo (ed anche i tragici esiti che ha comportato). La complessità del modello preso a modello, l’ala biologica, era soverchiante rispetto ai mezzi a disposizione. Ciò fece ritenere ai più che l’impresa fosse semplicemente impossibile. Tale conclusione, al di là del “senno del poi”, è di fatto ineccepibile, qualora si accetta l’ala battente come unico modello di volo.

Benché oggi esistano anche degli ornitotteri (macchine ad ala battente), è evidente a tutti che l’approccio imitativo fu un errore incredibilmente: duraturo e devastante. Una mongolfiera e persino un jet supersonico od un elicottero permettono di volare pur non somigliando in nulla ad un albatros. Con un sistema ingegneristico infinitamente più semplice rispetto al nobile albatros è possibile ottenere prestazioni non solo analoghe, ma persino notevolmente superiori al presunto modello da imitare. Abbandonando l’ala battente, si è rapidamente scoperto che “volare” è una funzione eseguibile attraverso non uno, ma numerosi sistemi differenti, di cui l’ala-battente è solo un ristrettissimo sottoinsieme (tecnicamente impegnativo). L’aver confuso quel sottoinsieme per l’intero genere del “volo” ha inferto un colpo fatale all’ingegno umano per millenni. L’errore, sia ben chiaro, non fu quello di prendere ispirazione dalla natura. L’errore fu di non farlo abbastanza, ossia di fissarsi con una sola manifestazione di volo. Poiché gli ornitotteri sono realizzabili, tra l’altro, non era neppure un problema di impossibilità assoluta (come ritenevano i detrattori), ma solo un problema di “razionalità” nell’approccio al problema. L’errore fu come quello di un neo-alpinista alle prime armi che dopo aver fallito la sua prima escursione, la scalata dell’Everest senza bombole, conclude che “scalare” è impossibile. E giunti qui si intuisce anche la parte “oscura” del mito di Icaro: il fallimento tramutato in senso di colpa per “aver osato troppo” e in giudizio morale, anziché in utile lezione che aiuti a comprendere ed ad andare avanti per strade diverse.

Analogamente, tentare di replicare l’intelligenza umana replicandone in modo puntuale il cervello umano (ossia il substrato con cui gli esseri umani svolgono la funzione “intelligenza”) rischia di essere ugualmente fuorviante e frustrante. E’ probabile che stiamo replicando l’errore dell’ala battente in salsa “neuronale”. Vi è però una differenza. Diversamente dal passato dell’aviazione, l’attuale ricerca sull’Intelligenza Artificiale dispone di calcolatori potenti, strumenti d’indagine estremamente sofisticati e numerosi, pazienti e competentissimi team di ricercatori. E’ quindi perfettamente possibile che questa volta, nonostante l’errore di base, si giunga ad un esito positivo (almeno parzialmente). Immaginarvi un settore aereonautico sviluppato a partire da modelli parzialmente funzionanti aeroplani ad ala battente. Un parziale successo di quel tipo avrebbe decretato la fine pratica/economica dell’intero settore. Trabicoli volanti ipercomplessi, inaffidabili ed al limite della fattibilità umana avrebbero forse fatto la felicità del loro inventore, ma avrebbero anche stroncato sul nascere l’aviazione, come neppure millenni di cocenti fallimenti sono mai riusciti a fare. La gente si sarebbe fatta l’idea che volare è una funzione semplicemente troppo complessa per avere dei risvolti pratici ed economici di rilievo. La ricerca sull’Intelligenza Artificiale sta correndo un rischio analogo: giungere a creare intelligenze artificiali generali iper-complesse, veri e propri gioielli scientifici e tecnologici, ma assoluti fallimenti sul piano pratico: un essere umano ed il suo “comune” cervello biologico, su un pianeta che ne contiene miliardi, costano infinitamente di meno di un super computer gestito da una selva di scienziati e tecnici.

La ricerca sull’intelligenza artificiale dovrebbe adottare una modalità d’analisi più flessibile, se non vuol incappare in rischi di fallimenti catastrofici (stile Icaro) o peggio ancora di semi-successi frustranti (stile tecnologia antieconomica ed ipercomplessa in grado di screditare, dopo un’iniziale entusiasmo, l’intero settore). Un approccio alla ricerca più flessibile, benché utile, per non divenire catastroficamente dispersiva (quindi persino più frustrante dell’approccio “neuro-imitativo”) dev’essere però governata. Serve un’interpretazione teorica di massima, analogamente a quanto fatto in aviazione dal concetto di portanza (grazie al teorema di Bernoulli).

Esiste un equivalente del teorema di Bernoulli, per l’Intelligenza Artificiale? Per ora no, ma perché perdere la speranza così prematuramente?

Ci sono ancora tante cose da dire e il Bernoulli dell’Intelligenza Artificiale forse già passeggia tra di noi e attende solo che una scintilla d’ispirazione dia fuoco alla sua creatività.

L’ipotesi generatore/selettore/sistemi di memoria vuol essere un tentativo di scintilla di cui parlerò anche nel prossimo post.


Un saluto a tutti dal Panda

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