mercoledì 4 gennaio 2012
Good news: Charity Shop e mercatini dell’usato
Il caro-vita, la crisi, la moda vintage, ma anche la ricerca di un tipo di consumo più eco-compatibile e solidale, hanno spinto sempre più persone ad effettuare i propri acquisti (o vendite) nei mercatini dell’usato. Questo boom ha comportato un’evoluzione del settore, caratterizzata dalla nascita di mercatini dell’usato simili a dei negozi, a commistioni di genere (ad esempio col commercio equo e solidale) ed al continuo ed apparentemente inarrestabile diffondersi nel mondo dei cosiddetti Charity Shop. Quest’ultimi, pur non essendo certo una novità (benché in Italia possono apparire come tale), non sono altro che una versione solidaristica del più noto mercatino dell’usato. In altri termini, nei Charity Shop , il conferimento al punto vendita dei prodotti usati avviene spesso tramite la donazione ed i costi di gestione sono abbattuti tramite l’impiego frequente di personale volontario (che si occupa oltre che di rivendere i beni conferiti anche di selezionarli accuratamente per garantire alti livelli qualitativi). Queste caratteristiche dei Charity Shop comportano di conseguenza prezzi di vendita particolarmente allettanti (anche su modelli di marche prestigiose) e, assai spesso, una parte più o meno consistente dei ricavi devoluta ad organizzazioni di beneficienza.
Al di la delle differenze tra i mercatini dell’usato e i Charity Shop, il settore dell’usato in quanto tale sta vivendo un momento d’oro. Il principio di base è di una semplicità incredibile: fornitori, clienti e gestori sono intenti a valorizzare tutti quei beni divenuti superflui per alcuni, ma ancora utilizzabili da altri. Come detto, tuttavia, il fenomeno non è riducibile ad aspetti esclusivamente economici (pur presenti), ma mostra una varietà d’intenti e motivazioni sorprendenti…
Il boom dell'usato deriva in generale da una crescente avversione agli aspetti più deleteri dell’economia degli sprechi, i cui effetti nefasti si fanno sempre più scottanti sulla pelle e sulla vita di una parte sempre maggiore della popolazione mondiale.
Il risparmio delle risorse, dell'energia e delle emissioni di gas serra (assai consistenti) dovute alla mancata produzione e distribuzione di prodotti nuovi da un lato ed allo smaltimento di quelli vecchi dall’altro, è, ovviamente, la motivazione razional-ecologista alla base di questa tendenza. A fronte di questa giustissima leva motivazionale, però, se ne affiancano altre, da quelle di tipo solidaristico (in opposizione, ad esempio, all’iper-sfruttamento della manodopera terzomondiale) a quelle legate alla piacevolezza di fornire un contributo concreto ed immediato alla decrescita economica senza attendere nessuna rivoluzione futura. Tra le leve motivazionali che spingono verso questo settore sempre più gente, non ci si deve poi scordare anche del gusto di uscire dagli schemi del consumismo più becero, in aperto contrasto con quell’economia esasperata e disumana che ha portato al collasso economico il mondo intero. Certo, la grande crisi ha fatto diventar tutti più sensibili ai possibili risparmi monetari, ma non si deve sottovalutare il forte risentimento popolare verso un’economia ed una retorica della crescita economica infinita che hanno tradito apertamente milioni di lavoratori. Quest’aspetto non tocca più solo i tanti disoccupati, licenziati o cassintegrati, ma anche la massa di lavoratori che, a causa della crisi, vedono per sé ed i propri cari un futuro economico e lavorativo deprimente e lontano anni luce dalle scintillanti promesse dei cultori del libero mercato e della “finanza creativa”. Un ulteriore aspetto, che favorisce il fenomeno dei mercatini dell’usato è ovviamente legato alla riduzione dei rifiuti. Questo aspetto non è più unicamente saldato a convinzioni ecologiste, ma anche ad una praticità quotidiana esasperata da valanghe di rifiuti da separare e smaltire. Le tristi vicende della “munnezza” di Napoli, hanno poi portato la discussione politica sui rifiuti su un piano più esteso rispetto a quello più ristretto degli ecologisti. I tanti disastri ecologici, sociali, economici e criminali legati alla sovrapproduzione di rifiuti, unita alla crescente fatica quotidiana legata al loro smaltimento ad opera dei cittadini e alla crescente attenzione per i costi economici legati alla spesa pubblica (tassa sui rifiuti compresa), hanno portato l’attenzione pubblica ad essere molto più sensibile che in passato all’argomento. Questa lenta e faticosa, ma anche inarrestabile presa di coscienza ha fatto sì che i mercatini dell’usato si evolvessero non solo nel loro aspetto esteriore e nell’estensione, ma anche nel contenuto. In alcuni negozi, infatti, oltre ai prodotti usati vengono ora trattati anche prodotti nuovi, ma volti a ridurre l’impatto ambientale ed economico/consumistico, come, ad esempio, i pannolini lavabili. Tramite censura, disinformazione e propaganda massiva, il roboante e mastodontico circo mediatico, politico e pubblicitario continua imperterrito ed ossessivo (e ormai con evidenti tendenze suicide) a sospingere l’economia mondiale verso lo sperpero costi-quel-che-costi. Dinnanzi agli sfaceli ambientali (per il solo 2011 vedi qui e qui) ed al collasso sistemico in atto, la solita retorica liberista ha tuttavia perso gran parte della sua lucentezza. Così, sempre più persone, prendono semplicemente ed autonomamente coscienza del fatto che molti propri rifiuti, in primis quelli ingombranti, fra cui vecchi mobili, elettrodomestici e computer (magari perfettamente funzionanti), potrebbero facilmente evitare la discarica, se solo fossero rivenduti attraverso un'apposita filiera dell'usato. Soprattutto però sempre più persone, iniziano a realizzare che i propri rifiuti, da inutile fonte di fastidi e costi, possono trasformarsi in fonte di reddito.
La cosa più esaltante è che, nonostante una solida tradizione alle spalle, è piuttosto evidente che siamo solo all’inizio! Quindi…
Buon futuro a tutti dal Panda
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