mercoledì 26 gennaio 2011

Italia, la semi-democrazia molto semi e poco democrazia

Strano paese l’Italia. Formalmente è una tipica democrazia parlamentare di tipo occidentale, ma con un parlamento pesantemente depotenziato ed improduttivo ed una legge elettorale unilaterale definita dal suo stesso ideatore una “porcata”. Vigerebbe la separazione dei poteri tra legislativo, esecutivo e giudiziario, ma il potere legislativo è ormai vincolato a quello esecutivo ed il potere giudiziario è costantemente sotto assedio (sempre da parte dell’esecutivo). Formalmente abbiamo un sistema d’alternanza bipolare, ma attualmente i poli politici sono tre e non due. La nostra Costituzione tutela la libertà d’espressione, ma per la libertà di stampa, ma, secondo la classifica del 2010 della prestigiosa Freedom House, l’Italia è una semi-democrazia posizionata sotto al Tonga ed a parimerito con il Benin. Quest’ultima constatazione (così come le precedenti) non è purtroppo una battuta sarcastica e il vostro affezionato Panda ve la riporta senza compiacimento alcuno, perché in una notizia del genere non v’è nulla di cui rallegrarsi.

Il teatrino dello scontro perenne tra destra e sinistra qui non c’entra nulla. L’Italia, tra un sorrisino divertito ed una scrollatina di spalle, si sta avviando velocemente a divenire un paese del terzo mondo: come importanza economica, come struttura politica e come stile di vita. D’altra parte, durante la più grande tempesta economica e finanziaria dal dopoguerra il sistema politico italiano anziché parlare dei problemi della gente (in primis di quei 3 milioni di italiani il cui reddito non è sufficiente nemmeno a sfamarsi) è tutto intento a parlare dei problemi (giudiziari e non) del premier (per altro plurimiliardario).

Per quel che riguarda l’opinione pubblica, non v’è più reazione a nulla. Un mostro culturale composto dall’intreccio di indifferenza, pigrizia, paura e rassegnazione è il vero partito dominante ed il regime in atto nel nostro paese. Qualsiasi stramberia è accettata con triste sopportazione e l’ingenua e vana speranza che l’Italia se la possa cavare come in passato, con un po’ di creatività e null’altro. Siamo il paese dell’assurdo costante. Siamo, ad esempio, un paese in cui, in un passato non troppo lontano, il referendum abrogativo sull’energia nucleare ha stabilito, con percentuali ampliamente plebiscitarie, l’assoluta contrarietà degli italiani a quella fonte energetica, eppure oggi l’unica strategia di rilievo è puntare tutte le scarse risorse statali proprio sul nucleare. Che importa se il nucleare è antieconomico, pericoloso e richiede uomini e tecnologie che l’Italia non possiede più: l’importante e smuovere soldi, tanti, tantissimi soldi per la gioia di banche ed affaristi sempre più simili a vere e proprie bande criminali.

Sembra che, in Italia, vi sia una spaccatura tra le esigenze concrete del paese e i suoi stessi interessi politici. Un’assoluta e rischiosissima assenza di praticità diffusa, sostenuta e caldeggiata dalla cultura del “lei non sa chi sono io…”, del “ma nun te preoccupà che na’ soluzione poi se troverà”, “ma che te frega a te, vedrai che poi…” e via dicendo. Questa spensierata sub-cultura catodica ridanciana e volgare è al tempo stesso la causa e l’effetto del progressivo deterioramento sociale, ecologico, economico e morale a cui stiamo assistendo. Questa sub-cultura è il boa che sta strangolando l’Italia.

L’illusione di poter sempre e comunque trovare (tramite l’arte d’arrangiarsi) una soluzione ai problemi creati dal proprio stesso malcostume, ha trasformato la proverbiale quanto mitizzata “arte d’arrangiarsi” da risorsa cruciale dell’economia italiana a fardello insostenibile e sostanziale scusa per ogni tipo di catastrofe decisionale. L’illusione di poter agguantare quel che si può ora, lasciando ad un non meglio precisato futuro l’onere di porre rimedio ai vari disastri, ha partorito un’Italia stralunata, fuori dal mondo, impermeabile ai cambiamenti tecnologici ed economici, incapace di prendere nulla sul serio (anche quando ne va del proprio benessere e della propria sicurezza); un Italia grottesca e paurosa.

Come ampiamente previsto da Pasolini, la cultura della banalizzazione esasperata creata dal duopolio televisione e consumismo, ha sradicato totalmente la precedente cultura popolare fatta di ignoranza, serietà e concretezza. L’attuale cultura popolare, nonostante Internet e via dicendo, si sostanzia, per dirla schiettamente, di ignoranza, arroganza e superficialità. Un elemento congiunge vecchia e nuova cultura popolare: l’ignoranza. C’è tuttavia una profondissima differenza tra l’ignoranza del passato e quella odierna. Quella del passato dipendeva da fattori di brutale materialità: bassa scolarizzazione, povertà diffusa, analfabetismo ecc… L’ignoranza attuale dipende invece esclusivamente dai mass-media tradizionali ossia dalla propaganda scientifica nata all’ombra della monocultura delle televisioni commerciali.

A livello internazionale l’Italia è considerata una semi-democrazia. Più passa il tempo e più si vedono i semi e meno la democrazia. L’assenza di effettiva libertà di stampa ha letteralmente massacrato il livello ed il tenore delle diatribe politiche. Per il politico di oggi, la possibilità d’accesso ad una qualche comparsata televisiva sovrasta totalmente la preoccupazione per il bene del proprio schieramento, del proprio partito e fin’anche della propria corrente politica. Questo sistema distorto, lungi dall’essere un puro fatto di malcostume, ha fatto esplodere il livello di sopportazione morale (l’incapacità non solo di indignarsi, ma persino di stupirsi). Ha fatto crollare la pressione sociale verso tutti quei comportamenti egoistici, illeciti e perfino illegali che una volta sarebbero stati messi alla gogna. Ha radicalizzato gli scontri politici, sociali e sindacali fomentando gli opposti estremismi e seppellendo sotto montagne d’urli e sciocchezze qualsiasi discorso moderato superiore ai 5 secondi. Ha scollegato i rappresentati dai rappresentati. Ha riportato la condizione della donna a mero oggetto sessuale, annullando di colpo decenni di lotte. Ha premiato a piene mani la mediocrità servilistica, il malaffare, il nepotismo e la stupidità. Sì, anche la stupidità perché per urlare insulti in un programma televisivo l’intelligenza non è indispensabile ed anzi potrebbe perfino essere d’impaccio. Una volta per essere un politico (anche di basso profilo) servivano tre requisiti indispensabili: pacatezza, cultura ed un passato d’impegno politico. Oggi bastano soldi, amicizie ed arroganza, solo l’ipocrisia è rimasta quella di una volta.


Questi sono i presupposti per una dittatura. Quella in cui stiamo già ora muovendo i primi passi.


Un saluto a tutti dal Panda.

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