Il tecno-ottimismo è un atteggiamento assai diffuso nella nostra società. Un atteggiamento pericoloso che trae origine da precisi interessi economici. Per comprenderlo (e quindi evitarlo) bisogna quindi addentrarsi nella “psicologia” del mondo in versione ultra-liberal e iper-global. Vediamo…
La crescita economica è divenuta impossibile. Crescita infinita con risorse finite? Ma per favore! Era evidente (da sempre) che, prima o poi, sarebbe dovuta finire. Anche un bambino piccolo capisce da sé che mangiando le fette di una torta, quella prima o poi finisce. Ma se invece di essere un bambino siete un plurimiliardario, non vi accontentate solo di mangiarvi la torta. Non vi accontenterete nemmeno di convincere gli altri che sia giusto che voi mangiate la stragrande quantità delle fette della torta a disposizione. Eh no, se siete un plurimiliardario questo non vi basta! Vorrete di più, vorrete credere e soprattutto far credere a tutti che la torta non finirà così da poter continuare ad ingozzarvi indisturbati come sempre. E qui entra in gioco la retorica ipocrita volta a glorificare le presunte meraviglie tecnologiche del futuro. La tecnologia e la scienza sono utili, anzi utilissime, nessuno lo nega (e men che meno il vostro Panda), ma non magiche. Il pensiero magico è piuttosto il contrario di ciò che esse sono. Un esempio: dal mitico modello T della Ford al top della produzione automobilistica moderna sono senza dubbio cambiate tante cose, i miglioramenti sono innegabili e sotto l’occhio di tutti, ma la quasi totalità delle automobili in circolazione, non solo non volano (come si fantasticava negli anni ‘50 ed oltre), ma vanno ancora a combustibili fossili, con motori endotermici che sprecano la quasi totalità dell’energia immessa in calore inutile che va disperso in atmosfera senza nessuna utilità. Nessuno però ci impedisce di passare all’auto elettrica, si dirà. Ed invece sì, i costi e gli ammortamenti di tutto ciò che gira intorno alle auto tradizionali ce lo impediscono. Se fossi un costruttore di automobili (che ha imparato a farle esattamente così come sono in decenni d’esperienza ed investimenti), perché dovrei dismettere le mie attuali e costosissime linee produttive per sobbarcarmi l’onere di creare nuove macchine elettriche con un margine di guadagno inferiore ed un rischio di mercato infinitamente maggiore? E i petrolieri, i benzinai e lo sconfinato indotto che ruota attorno al motore a scoppio perché dovrebbero consentirmi di procedere in quella direzione senza opporsi, se io, contro ilo mio stesso interesse decidessi di procedere in quella direzione? Sì, vabbè, si dirà, ma dir ciò equivale implicitamente a sostenere che le conoscenze tecniche per i miglioramenti dell’auto ci sarebbero in effetti! Forse, o forse sono state così tenacemente osteggiate, che, anche volendo, ora saremmo costretti a recuperare decenni di tenace ostracismo in pochissimo tempo. Ammettendo anche che le conoscenze e le competenze tecniche già esistano (o siano rapidamente acquisibili) e che il sistema nel suo complesso, in uno sprazzo d’illuminazione eviti di mettersi di traverso (come l’istinto di sopravvivenza gli impone), anche ammettendo tutto ciò (e non è poco), tali conoscenze tecniche rimarrebbero sostanzialmente inutili. L’auto non ha futuro (elettrica e non). Il motivo è presto detto: non c’è più abbastanza materiale per garantire automobili nuove o vecchie che siano per il mercato potenziale. Cina ed India, si sa, rappresentano da sole un mercato potenziale sconfinato, ma da quale cilindro magico faremo sbucare l’acciaio, la gomma e la plastica necessarie a costruire effettivamente tutte quelle “auto-potenziali”? E anche riuscendoci, come riusciremo a farlo a costi paragonabili a quelli attuali? E i materiali e l’energia necessari per sostenere gli stipendi degli “automobilisti-potenziali” da dove arriveranno? E l’energia per far girare quel parco macchine, se mai si riuscisse a produrle e a venderle?
I problemi creati dalla produzione e dal consumo di automobili con motori a scoppio, non verranno mai risolti da macchine elettriche. Nella migliore dell’ipotesi l’auto elettrica prolungherà di un po’ l’era dell’auto privata, ma la sostanziale insostenibilità dell’auto privata su un pianeta di 7 miliardi di persone è più che evidente a chiunque voglia vedere le cose in modo distaccato. Il problema non è tecnologico (o non solo e non principalmente), il problema è politico, economico e culturale. Sperare che l’auto elettrica risolva tutto è una speranza poggiata sul nulla, cioè una tipica illusione tecno-ottimista.
Se è vero che nulla è impossibile, è pur sempre vero che qualcosa improbabile può esserlo eccome! Il vostro Panda, ad esempio, crede che l’idea diffusa secondo cui la tecnologia possa da sola, magicamente, risolvere qualsiasi problema ci affligga nel presente, sia un’idea assai pericolosa ed inverosimile. E’ inverosimile poiché, senza appoggio politico né sociale, senza convenienza economica né industriale, senza preparazione culturale, senza materie prime sufficienti per costruire, installare ed utilizzare una tecnologia, è decisamente inverosimile che tale tecnologia riesca ad affermarsi. Ed è ancor più inverosimile che tale miracolosa tecnologia si affermi a tal punto da scalzare completamente e in breve tempo quella che l’ha preceduta. Ed è ancor più improbabile se quella tecnologia nuova è molto più efficiente di quella che va a sostituire, poiché lo spreco che andrebbe a togliere non è un mero fatto fisico, ma un’economia fatta di persone che su quello “spreco” ci vivono e che faranno di tutto per continuare a farlo. Una conversione rapida e capillare da una tecnologia obsoleta e dannosa ad una nuova e virtuosa pare ancor più inverosimile in casi come quello automobilistico, dove, per giungere allo stato in cui ci troviamo ora, sono occorsi investimenti incredibilmente elevati per decenni di ininterrotto e sfrenato appoggio politico, culturale ed industriale (e parliamo di decenni di crescita economica supportata da risorse minerarie ed energetiche a basso o bassissimo costo se confrontate rispetto ad oggi). Il tecno-ottimismo non è però solo poco plausibile, è anche molto pericoloso, poiché tende, paradossalmente, a mantenere lo status quo tecnologico, anziché favorire un progressivo rinnovamento. Il tecno-ottimismo è pericoloso perché tende a sottovalutare qualsiasi problema (indipendentemente dalla sua oggettiva gravità ed urgenza) ed a spostarne la soluzione in un futuro dorato, in cui ci si immagina che tutto sarà facile e perfetto. Paradossalmente questo atteggiamento rafforza le tecnologie attuali indipendentemente dai loro effetti collaterali, inibendo ricerche tecniche e scientifiche volte a trovare soluzioni alternative praticabili ed immediate. Il tecno-ottimismo è il nuovo luddismo, il conservatorismo estremo e paradossale di chi dice a parole di amare l’innovazione, ma di fatto ostacola in ogni modo quella possibile: Perché investire in energie rinnovabili, se in futuro potremmo avere energia infinita dalla fusione nucleare? Perché investire in tecnologie per ridurre le emissioni di gas serra, se in futuro potrebbero esserci tecnologie in grado di ripristinare le condizioni ambientali a “frittata fatta”? Perché investire in trasporti collettivi su rotaia se in futuro si potranno avere auto-elettriche personali? Perché investire ora massicciamente in una conversione tecnologica che liberi l’economia globale dal giogo del petrolio, se in un non meglio precisato futuro avremo l’idrogeno, il nucleare pulito e sicuro e chissà cos’altro? Peggio ancora, perché dovremmo finanziare una massiccia riconversione dell’economia per liberarla dalla dipendenza dal petrolio, se le miracolose tecnologie del futuro ci consentiranno di estrarlo persino dal nucleo della Terra? In definitiva, perché dovremmo rinunciare a delle comodità attuali per progetti sensati, se pensiamo che in futuro non solo continueremo a star comodi, ma quelle comodità saranno persino maggiori e saranno non solo prive di effetti collaterali, ma addirittura curative degli errori che avremo commesso fino a quel momento? Perché effettuare miglioramenti continui, ma faticosi e pericolosi, quando si può mantenere congelati tutti gli attuali privilegi con una semplice illusione?
Il tecno-ottimismo è irrazionale e tecno-discriminatorio, nel senso che stabilisce arbitrariamente quale tecnologia sia simpatica, affascinante e desiderabile e quale no, senza neppure prendere in considerazione quali limiti tecnici e controindicazioni possano esserci: se una tecnologia piace non ha alcuna importanza, se in ’50 anni di studi non ha mai prodotto nulla di vagamente realizzabile (come per la fusione nucleare a caldo). Si usa l’ottimismo per rimpiazzare e defenestrare la razionalità e per sfuggire da qualsiasi discussione fondata su dati e conoscenze già a disposizione. Si finge di idolatrare la scienza e la tecnica per escludere dalle discussioni considerazioni tecniche e scientifiche, mantenendole nell’ambito della discrezionalità. Col teco-ottimismo si rischia di sostenere a spada tratta la tecnologia attuale e tutti i suoi difetti, osteggiando non solo qualsiasi tentativo di sostituire tecnologie ormai palesemente obsolete o decadenti con alternative immediatamente disponibili, ma si rischia persino d’osteggiare i tentativi di porre rimedio ai danni che tali tecnologie decadenti hanno e stanno causando sotto gli occhi di tutti. Il tecno-ottimismo è una palude intellettuale di stampo medioevalista verniciata con una patina di illuminismo posticcio per mascherare malamente il suo scopo ultimo: la fuga dalla realtà.
Il Panda conclude con parole non sue. Sono tratte da un bel articolo di Antonio Turiel apparso il 19 Aprile 2010 su The Oil Crash e tradotto in italiano grazie al blog Effetto Cassandra del prof. Ugo Bardi.
“Essere tecno-ottimisti, credere che la tecnologia risolverà tutto, è un modo socialmente accettabile di essere suicidi. Io, se permettete, scelgo la vita. Sono uno scienziato, ma non un idiota e non voglio credere ai benefici della tecnologia come se fosse un atto di fede; proprio perché sono uno scienziato so che ci sono dei limiti nella natura (le leggi della termodinamica, per esempio) e che non possiamo fare miracoli, anche se possiamo e dobbiamo migliorare le condizioni di vita degli umani. Ma cerchiamo di essere razionali.”
Buon futuro a tutti dal Panda
Di uno scialbo granello
RispondiEliminaimportuno ed anonimo
ne fa l’ostrica involucro
d’eterea luce rifratta
la perla ci attrae
come uscio socchiuso
che introduce a un mistero
perché una crosta di pietra
mossa da un umile muscolo
nell’umido e al buio
ha il selenita chiarore
voluto con pazienza inglobare
pure nella mente più fervida
il fatto suscita enigma
e nell’ottuso stupore
magari è beffa allo scaltro
sazio della valva violata
per vederlo una volta
arrovellarsi da idiota.
Peggio di un Re Mida, noi tutto ciò che tocchiamo presto diventa scoria.
Quale tecnica, stupefacente, e da milioni di secoli imbattibile, adopera invece il mite mollusco?
Se non impareremo ad imitarla perfettamente per noi è giunta l'ultima ratio.
L'ultima cena dal sapore di mandorla che strangola il fiato.
Marco Sclarandis
È verissimo, siamo peggio di Re Mida e non abbiamo imparato quasi nulla da Mamma Natura (e dir che avremmo tantissimo da imparare e da guadagnare dal farlo). Tuttavia le persone possono cambiare. E spero che lo facciano velocemente, così da evitare l’ultima ratio di cui parli, Marco. In fin dei conti un po’ è già avvenuto. È una goccia rispetto all’oceano che servirebbe. Potrebbe scoraggiare se ci si scordasse che anche il più profondo degli abissi si colmò una goccia alla volta (tanto per rimaner in ambito marino come il protagonista della tua poesia). Il Panda è convinto che la bellezza, intesa nell’accezione più ampia del termine, sia il miglior vessillo e la miglior leva del cambiamento che accorerebbe con urgenza. Grazie, quindi, per aver condiviso con noi la tua arte.
EliminaUn salutone a Marco e voi tutti dal Panda
Da idiota nemmeno mi ero accorto, anni fa,
RispondiEliminache questi versi ne contenevano in nuce uno, che come una piccola perla in assonanza con l'involucro, ne perfeziona il significato:
Di uno scialbo granello
importuno ed anonimo
ne fa l’ostrica involucro
d’eterea luce rifratta
la perla ci attrae
come uscio socchiuso
che introduce a un mistero
perché una crosta di pietra
mossa da un umile muscolo
nell’umido e al buio
ha il selenita chiarore
voluto con pazienza inglobare
e senza scopo di lucro
pure nella mente più fervida
il fatto suscita enigma
e nell’ottuso stupore
magari è beffa allo scaltro
sazio della valva violata
per vederlo una volta
arrovellarsi da idiota.
Ma allora, il delirio del lucro come scopo ultimo
non aveva raggiunto il vertice e la vertigine attuale.
Potrei non firmarmi, ma la forza dell'abitudine me lo impedisce.
Marco Sclarandis
L’ossessione del lucro ha inglobato l’umanità come la perla ingloba l’impurità da cui il buon mollusco si protegge. Siamo tutti prigionieri del denaro e se non troviamo (come civiltà) una via d’uscita saranno presto guai seri.
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