La nostra società, che piaccia o no, ruota ossessivamente attorno al dio denaro. Non è certo un segreto. Quando però si parla di economia in tv o sui giornali, quasi mai si parla del denaro nominandolo direttamente. Politici, giornalisti, opinionisti, persino sindacalisti ed ecologisti preferiscono parlare di crescita economica o, se le cose vanno male come ora, di ripresa economica. Questi semplici ed apparentemente innocui concetti sono un po’ come la foglia di fico aggiunta sulle pubenda dei capolavori della storia dell’arte: servono a nascondere ciò che non deve essere visto. Sono parole vuote e false che servono unicamente a censurare. Tali parole, infatti, servono a raccogliere facile consenso tra i “villici” (anche se oggi ci chiamano con maggior garbo “lavoratori”) mascherando interessi consistenti con una moralità ipocrita e posticcia. Dire cose del tipo “Dovete fare dei sacrifici per farci arricchire oscenamente” non suona bene alle orecchie di noi “lavoratori”. Quindi i più preferiscono frasi del tipo: “Occorre impegnarsi tutti insieme per aumentare la crescita economica ed il bene del paese”. La litania della crescita economica è ripetuta ossessivamente. Crescita e ripresa, tuttavia, diversamente da quello che credono i più, non coincidono affatto con il progresso, con il benessere e men che meno con la felicità. Peggio ancora: la crescita economica, misurata e considerata così come avviene fatto oggi (cioè solo tramite il PIL), non ha nulla a che fare neppure con la ricchezza reale del paese in cui essa dovesse manifestarsi.
L'attuale ideologia, come qualsiasi altra ideologia, difende le proprie menzogne (per lo meno le più grandi), adattando il linguaggio in uso tra i “villic…”, hem, tra i ”lavoratori”. L'ideologia si difende sfruttando l'intrinseca ambiguità del linguaggio umano, ossia non fa altro che piegare il lessico usato da milioni di persone agli interessi specifici della sua ristrettissima classe dirigente. Purtroppo i mass-media moderni sono mezzi di propaganda molto potenti (che nessun regime totalitario del passato ha mai potuto nemmeno sognare). Grazie ad essi è divenuto assai facile gestire il linguaggio ed il lessico delle masse. La gestione tendenziosa delle informazioni influisce sui giudizi, ma quella sul lessico è ancor più potente perché influisce sui pre-giudizi.
Nel caso particolare, i significati dei termini “crescita economica”, “PIL” e “bene comune” sono stati fatti combaciare forzatamente. In tal modo la difesa del PIL crescente diviene il presupposto di ogni discussione che riguardi più o meno espressamente il “bene comune”.
Chi è contrario alla ripresa economica? Chi si oppone pubblicamente allo sviluppo? Chi desidera veder scendere il PIL? Nessuno, ecco chi. Nessuno se non i pazzi o gli estremisti (o i presunti tali).
Il culto del PIL come unica, valida ed universalmente accettata misurazione del benessere comune ha a che fare con il linguaggio e la pressione sociale che ne deriva. Il punto da capire è che il linguaggio (in questo caso) non è più una convenzione sociale per indicare dei concetti condivisi, ma un’imposizione dall’alto, calata a suon di televisione, radio e giornali sulle teste dei “lavoratori”.
Diversamente dal passato, si è ben oltre al semplice raggiro retorico. La sostituzione del concetto di “bene comune” con i termini “crescita economica” e “crescita del PIL”, ha portato i “lavoratori” al paradosso di sostenere chiunque sia bravo a far aumentare il PIL del proprio paese pur non sapendo il più delle volte che cosa effettivamente sia il PIL. Ripetere per qualche miliardo di volte questa usurpazione lessicale con tutti i mezzi di informazione a disposizione ha permesso di inculcare il concetto così fortemente nella mente dei “lavoratori” da renderli totalmente incapaci non solo di vedere la differenza tra i concetti, ma anche di poterla liberamente concepire ed esprimere. Chi anche dovesse riuscire a distinguere i concetti, infatti, si trova a comunicare con un’intera società che da invece per scontata l’equivalenza di tali termini e tratta da pazzi o estremisti chi mette in discussione un presupposto così largamente condiviso.
Pur avendo raggiunto questo notevole risultato, l’ideologia dominante non si è accontentata. Ha quindi finanziato e costruito dal nulla un intera "scienza" che difendesse a spada tratta tali, altrimenti ridicoli, fraintendimenti lessicali, anche sul piano accademico. Mi riferisco l'economia classica. Secondo tale “scienza” tutto è perfetto, se e solo se, può liberamente esprimersi sotto forma di domanda ed offerta o, se si preferisce, sotto forma di libero mercato economico. In quest'ottica il libero mercato è l'unica forma di rapporto umano perfetto, poiché si presuppone che sia l'unico a trovare sempre e comunque la migliore soluzione possibile. In questo contesto teorico, quindi, qualsiasi distorsione, per quanto umanamente aberrante, è cosa buona e giusta se avviene all’interno di un libero mercato, poiché deve per forza rappresentare la migliore soluzione tra quelle possibili. In alternativa, la colpa di tali aberrazioni, è scaricata sulle “indebite interferenze” statali che altererebbero i “perfetti” meccanismi del libero mercato. In ogni caso la soluzione ad ogni problema è sempre: lasciar fare, non interferire con “inutili” e “dannose” regolamentazioni statali e aspettare fiduciosi (e pazienti) che il mercato sistemi ogni cosa. Si è tentato di dimostrare tutto ciò per decenni. Per far ciò sono stati concepiti modelli, teorie ed equazioni di rara ed innegabile eleganza.
Nel frattempo, in loro nome e per garantire una crescita costante del PIL, sono state depredate senza sosta ogni risorsa naturale e/o umana che fosse facilmente depredabile. Nel frattempo si è sostituita l’etica basata sul valore intrinseco del lavoro propria del capitalismo delle origini (quello che ha costruito ferrovie, ponti e fabbriche), con il vuoto morale e civile del consumismo iper-liberale di oggi. Vuoto morale che ritiene anche la schiavitù o la semi-schiavitù dei lavoratori nel terzo mondo un passo forse doloroso, ma sicuramente lecito e necessario, quando non addirittura un passo in avanti per l’umanità intera. Nel frattempo abbiamo alterato il clima del pianeta. Pianeta che abbiamo sovrappopolato fino a sorpassare la sua stessa capacità rigenerativa. Sovrappopolazione a sua volta causata quasi esclusivamente dall’aver sfruttato e tenuto (nel frattempo) una fetta abbondante della popolazione mondiale a livelli inaccettabili di miseria. La miseria estrema, infatti, comporta invariabilmente un’esplosione delle nascite mai sufficientemente compensata dalla morte prematura di milioni e milioni di individui che miseri ci sono nati.
Nonostante tutto questo e molto, molto altro ancora, la maggioranza delle persone sul pianeta ha fatto proprie le credenze della "scienza" iper-liberista. Quasi tutti, al di là delle varie ed irrilevanti sfumature politico-sociali, accettano il PIL come solo ed unico metro di giudizio nel valutare il bene comune. Quindi come metro di giudizio per ogni strategia politica. Secondo questa paranoia collettiva, l’analisi socio-economica di ogni realtà umana si riduce a: il PIL è aumentato = Bene ; il PIL è calato = Male.
Cos'è però il PIL?
Il PIL, ossia il Prodotto Interno Lordo, è il valore complessivo dei beni e dei servizi prodotti all'interno di una nazione in un dato intervallo di tempo. Il PIL però conteggia solo i beni e servizi destinati ad usi finali (consumi finali, investimenti, esportazioni nette). E' invece esclusa dal calcolo del PIL la produzione destinata ai consumi intermedi. In altre parole, nel PIL si conteggia il valore di tutti i beni e servizi ad esclusione di quelli consumati e trasformati nel corso del processo produttivo per ottenere nuovi beni e servizi.
Questo è il concetto visto da un punto di vista tecnico. Per capire veramente cosa sia il PIL bisogna però intendere bene che esso è basato a sua volta sul concetto di valore dato che il PIL è una somma di valori economici. Esso quindi dipende strettamente dalle transazioni economiche avvenute nell'economia. Il PIL non misura ciò che si è creato o accumulato in un'economia, ma ciò che si è scambiato. Il PIL soprattutto non misura quanto si è perso o distrutto. Se in una nazione crolla un ponte e se ne costruisce uno nuovo al suo posto il PIL di quella nazione sale, anche se di ponti, alla fine, non ce ne sono due, ma uno (esattamente come prima del crollo). Il PIL, in effetti, è nato dopo la seconda guerra mondiale per valutare il tasso di ricostruzione. A quello doveva servire: a valutare la ricostruzione a partire dallo stato di partenza (prossimo allo zero). Esso però è stato letteralmente sequestrato dal liberismo che ne ha fatto il proprio vessillo, estendendone l’applicazione fino ad oggi ossia molto oltre l’avvenuta ricostruzione post-bellica. Il PIL così si è tramutato da indice di ricostruzione post-bellica a base teorica e pratica di ogni strategia economica, politica sociale. E’ divenuto metro di paragone e di giudizio. Il PIL deve sempre crescere. Sempre e comunque.
Eppure qualche rara voce contraria si è alzata.
Come disse Robert Kennedy nel ormai lontano 1968:
« Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell’indice Dow Jones né i successi del Paese sulla base del Prodotto Interno Lordo. Il PIL comprende l'inquinamento dell’aria, la pubblicità delle sigarette, le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine del fine settimana… Comprende programmi televisivi che valorizzano la violenza per vendere prodotti violenti ai bambini. Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari. Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione e della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia e la solidità dei valori familiari. Non tiene conto della giustizia dei nostri tribunali, né dell'equità dei rapporti fra noi. Non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio né la nostra saggezza né la nostra conoscenza né la nostra compassione. Misura tutto, eccetto ciò che rende la vita degna di essere vissuta ».
Parole sagge ed attualissime, condensate magistralmente da Roberto Benigni in un passaggio di un suo famoso spettacolo degli anni '90 che recita testualmente: « ...basta con il PIL: Prodotto Interno Lordo, ma fa schifo! Sembra una cosa escrementizia! ».
Non si tratta di essere comunisti, socialisti, anarchici o altro. Si tratta solo di essere giustamente espliciti: l'imperante ossessione per la crescita economica è una palese sciocchezza. Non può esserci crescita economica infinita su un pianeta con risorse limitate. Anche un bambino può capire ciò, perchè il mondo intero no? Perchè tutti sono ossessionati dalla crescita economica basata sull'aumento del PIL? Negli ambienti tecnici, le critiche al PIL e alla sua reale utilità si spendono ormai da decenni e si sono creati decine di indicatori sostitutivi; eppure eccolo ancor oggi lì, sulle prime pagine, nei TG, sulla bocca di politici di ogni schieramento e fronte. Inossidabile. Immutabile. Ineliminabile. Perchè quest'incapacità quasi demenziale di abbandonare un metro di giudizio così palesemente assurdo?
Semplice, perchè siamo tutti indebitati. Tutti, nessuno escluso. Ogni persona su questo pianeta, fin dalla nascita, contrae un debito con le Banche Centrali che emettono denaro. Denaro che ogni persona è costretta ad usare per vivere. Le Banche centrali, diversamente da quanto fatto credere dai TG, non sono istituzioni pubbliche, bensì private. Banca d'Italia ad esempio non è un istituto dello Stato italiano, ma una S.p.a. (una società per azioni detenuta quasi integralmente dalle banche private che essa stessa dovrebbe controllare). Le Banche Centrali emettono denaro a fronte di titoli di credito. Semplificando: se vuoi 100 $ devi portare alla Banca Centrale un titolo del valore di 100 $. La Banca Centrale, di fatto, finanzia l’intera economia tramite l’emissione di nuovo denaro. Sfortunatamente la Banca Centrale, diversamente da qualunque altra persona o entità, non guadagna i soldi che presta, ma li crea dal nulla in base alla propria politica monetaria. Dico sfortunatamente perchè il prestito ovviamente è concesso solo a fronte di un adeguato tasso di interesse. Quindi se si danno titoli di credito alla Banca Centrale per 100 $ è vero che si riceveranno 100 $, ma poi si dovranno restituire gli interessi alla Banca Centrale stessa. Quest'ultima essendo una S.p.a. e potendo stampare essa stessa la moneta da prestare ai suoi clienti (cioè tutta l'economia) tenderà a far di tutto perchè ciò accada il più spesso possibile. Visto che anche gli interessi sono denaro è ovvio che l'economia nel suo complesso non avrà mai l'ammontare di denaro di cui effettivamente ha bisogno. Il debito verso le Banche Centrali non può che crescere finché le economie tendono ad espandere le proprie transazioni (che è l'unica cosa che il PIL misura). Se l’economia si espande ha bisogno di finanziarsi, la Banca Centrale emette moneta (e viene pagata), la moneta immessa sommandosi alla precedente svaluta la moneta circolante nell’economia stessa creando quel “simpatico” fenomeno che noi tutti chiamiamo inflazione. L’inflazione così generata non è mai raggiunta dagli eventuali aumenti di stipendi e pensioni. I “lavoratori” quindi sono costretti ad aumentare il ricorso all’indebitamento. Questa morsa si stringe attorno alla classe lavoratrice fino a metterla in crisi e a farle ridurre i consumi e, presto o tardi, ciò si ripercuote sull’intera economia che entra in crisi essa stessa. Durante la crisi (e per uscire da essa) l’economia cerca di rinnovarsi per aumentare la sua efficienza tramite l’innovazione, il progresso tecnologico ed i licenziamenti di massa. Se l’efficienza aumenta sufficientemente l’economia torna a crescere e il ciclo riprende da capo. In ognuno di questi cicli, nella fase espansiva, si creano però interessi da pagare al sistema bancario e alla Banca Centrale. Vi è però una differenza enorme tra i due casi: mentre le banche ordinarie devono raccogliere il risparmio per poter erogare i prestiti, alla Banca Centrale basta coniare moneta ossia crearla dal nulla.
In passato il conio era prerogativa esclusiva di Re ed Imperatori. Beh, non è cambiato molto, a parte il fatto che Re ed Imperatori di una volta erano essi stessi lo Stato, mentre Re ed Imperatori di oggi sono S.p.a. che usano le democrazie come un comodo paravento e nulla più. Il fatto che le Banche Centrali siano private, infatti, equivale a dire che, indipendentemente da ciò che facciamo o non facciamo per vivere, dovremo comunque pagare (noi e i figli dei nostri figli) interessi per tutta la vita ad un ristrettissimo club di persone che non fanno altro che stampare pezzi di carta su generosissima licenza dello Stato (cioè sempre noi). Perchè nessuno sconfigge il PIL? Per lo stesso motivo per cui agli schiavi non è concesso di spezzare le proprie catene, ecco perchè! Datti da fare, produci, vendi, desidera, consuma, calpesta, sgomita e PAGA! Tutto qui. Nessun oscuro segreto. Nessun complotto. Tutto alla luce del giorno.
Cosa fare? La soluzione è molto più semplice del male. In passato Re ed Imperatori, in quanto detentori del potere dello Stato, facevano squartare o decapitare chi osava usurpava la loro effige coniando illecitamente monete. Oggi non serve essere tanto brutali. Basta riprenderci semplicemente ciò che appartiene a tutti noi in quanto Stato: ossia il diritto di conio. Lo Stato e solo lo Stato deve possedere e decidere l'emissione della moneta. La FED, la BCE, così come Banca d'Italia e tutte le altre Banche Centrali devono tornare ad essere totalmente ed esclusivamente pubbliche in quanto ciò che fanno è totalmente ed esclusivamente di interesse pubblico.
Un saluto a voi tutti dal Panda.
Nessun commento:
Posta un commento