Il vostro affezionato Panda si scusa con tutti voi per questo lungo periodo d’assenza. Il fatto è che il Panda non è della stessa scuola di Gianfranco Polillo, il sottosegretario all'Economia che ha recentemente sostenuto che gli italiani fanno troppe ferie. Sembra proprio che il buon Polillo ritenga infatti che "se noi rinunciassimo ad una settimana di vacanza avremmo un impatto sul PIL immediato di circa un punto". A parte l’assurdità della proposta in sé, visto il periodo di crisi economica caratterizzato dal crollo dei consumi e dalla disoccupazione, viene da porsi una domanda: ma quanti “sacrifici umani” saranno necessari per tentare di sfamare l’infinita brama di questo grigio dio economico che chiamiamo PIL?
Tutti sono preoccupati, se il PIL scende. Non deve scendere, a nessun costo! Anche parlando del devastante terremoto in Emilia, più di un servizio giornalistico ha messo l’accento sul fatto che la zona colpita era assai produttiva ed il terremoto potrebbe costare all'Italia l'1% del PIL. Detto come va detto, questa ossessione per il Prodotto Interno Lordo è una follia che oscilla ormai costantemente tra il tragico ed il comico. In un pianeta in cui ogni risorsa naturale una volta abbondante è ora in via di esaurimento, in un pianeta martoriato e straziato da sprechi di ogni tipo, in un pianeta al collasso (anche) economico a causa proprio di quest’ossessione, qual è la prima preoccupazione di politici ed opinionisti : il PIL!
Nel caso del terremoto in Emilia ci sono seri motivi per ritenere che l’insolita attività sismica possa essere stata innescata non da consuete dinamiche telluriche, ma da attività umane o più precisamente da pratiche estrattive (il cosiddetto fracking o fratturazione idralica) volte all’ipersfruttamento dei giacimenti di gas o petrolio. I motivi che inducono a far sorgere questi sospetti sono diversi e provengono da persone più competenti del vostro affezionato Panda (si veda qui, qui e soprattutto qui). Questo sospetto pesa come un macigno, non solo poiché rivelerebbe responsabilità gravissime su una vicenda costata molte vite umane ed una gravissima devastazione economica, artistica e psicologica, ma anche perché, se risultasse fondato, evidenzierebbe in modo grottesco un modello economico ormai letteralmente alla canna del gas ed in preda alle convulsioni, un sistema di potere pronto a tutto pur di durare un giorno di più, costi quel che costi. La questione non è solo morale e non riguarda solo la tragedia emiliana in sé. Se fosse vero che le attività petrolifere sono state la causa o con-causa del terremoto in Emilia, ne uscirebbe un quadro fosco all’inverosimile per tutti noi. Tralasciando le sottigliezze tecniche, si può dire che il francking non è una normale attività estrattiva, è l’equivalente della proverbiale raschiatura del “fondo del barile”. I costi economici, energetici, ambientali e di sicurezza sono elevatissimi. Tralasciando le reprimenda morali, un’industria che decide di sopportare quei costi e quei rischi, non lo fa certo perché ha delle alternative più facili ed economiche a disposizione.
Se i sospetti sul terremoto in Emilia fossero veri, il disastro accaduto si andrebbe semplicemente ad aggiungere alla sempre più lunga lista di disastri legati ad attività che hanno a che fare con l’energia come quello della Deepwater Horizon nel golfo del Messico o come la catastrofe nucleare di Fukushima per tacere delle costanti carneficine nelle miniere di carbone cinesi (e non) o i sempre più frequenti incidenti ad oleodotti, gasdotti e piattaforme estrattive. Tanti episodi distanti ed apparentemente variegati, ma con un preciso filo conduttore: l’assunzione di costi e/o rischi spropositati per ottenere energia. Come se questo non bastasse si può facilmente notare come, negli ultimi due decenni, i conflitti in zone strategiche per il petrolio e/o il gas siano di fatto una costante (Iraq, Afghanistan, Darfur, Nigeria, Cecenia, Georgia, ecc…). Pensando alla situazione internazionale riguardo all’Iran nulla fa presagire che le cose miglioreranno in futuro. In aggiunta a tutto questo, diversi paesi che una volta erano piccoli esportatori di petrolio hanno visto le loro quote d’esportazione franare e molti di essi sono addirittura divenuti importatori di petrolio (tra questi anche la Cina). Per finire, come più volte ricordato in questo blog, la cosiddetta “Primavera araba” (che ha ribaltato o sconvolto la quasi totalità delle dittature del Nord Africa e del Medio Oriente) avrà anche dei nobili e giustissimi presupposti politici, ma combacia terribilmente con il collasso petrolifero su cui si reggevano quelle dittature.
Se i sospetti sul terremoto in Emilia fossero veri, saremmo davanti ad una catastrofe immane causata dalla cultura del PIL, che danneggerrebbe il PIL stesso e farebbe parlare tanto di PIL in un momento in cui non si fa altro che parlare di PIL. Può sembrare un gioco di parole, una provocazione o uno scherzo, ma è una tragedia che ne fa presagire molte altre ancora più devastanti. e non è solo di scosse telluriche che sto parlando.
Tutto questo cupo scenario purtroppo combacia fortemente con una situazione di picco del petrolio in stato assai avanzato. La cosa non dovrebbe stupire più di tanto visto che persino l’Unione Petrolifera Italiana ha riconosciuto che siamo entrati nell’era del picco. Perché occuparsene allora? Un motivo è che dopo il picco non vi è una ripresa economica, ma un collasso senza precedenti a confronto del quale l'attuale crisi non è che l'inizio di una discesa sempre più ripida e lunga nel tempo. Vi è però anche un altro motivo per occuparsene. Un motivo più costrutivo che collega il PIL ed il picco del petrolio e che suggerisce la strada da seguire. Ciò che illumina una strada altrimenti assai oscura è un'evidente anomalia: il picco del petrolio è ormai ammesso persino da militari e petrolieri, ma non dalla classe politica. Dinnanzi alla più colossale crisi economica che l’attuale sistema capitalistico/consumistico abbia mai dovuto affrontare, nessun politico parla di picco del petrolio. L’argomento non viene neppure accennato. Mai. Buio totale su tutti i canali! In compenso la politica nazionale ed internazionale continua a parlare sempre e solo di come far tornare a crescere il PIL. I sacrifici che ciò inevitabilmente comporterà per la popolazione mondiale sono enfatizzati nei toni ma sottostimati fortemente per quantità e conseguenze.
Mentre il sistema economico si contorce tra spasmi e boccheggi, la politica internazionale rimane ferma nella più totale paralisi. Ciò non accade perché gli attuali politici siano corrotti, incompetenti ed in balia di poteri molto più forti di loro. Pur essendo assolutamente vero che la classe politica attuale appare decisamente degradata rispetto a quella di qualche decennio fa, bisogna tuttavia aver il coraggio di guardare la realtà in faccia e di ammettere che l’immobilità politica mondiale a cui assistiamo non è frutto di questa decadenza. I politici attuali, come gli ultimi imperatori romani guardano il crollo del loro Impero con angoscia e sbalordimento. La loro immobilità non denota complicità con chi sa quali complotti mondiali, ma solo e semplicemente debolezza ed impossibilità a liberarsi dalle catene che il loro stesso potere impone loro. Le catene del PIL che imprigionano l’operaio "in catena di montaggio" sono le stesse catene che imprigionano i politici nelle loro tristissime gabbie dorate. Una sorte è decisamente più piacevole dell'altra, ma nessuna delle due contempla la libertà di scelta.
Non è la classe dei lavoratori a dover essere abbattuta in un inutile atto sacrificale, né la classe politica che cinicamente richiede quel sacrificio inutile. L'unica cosa che va eliminata è la subcultura del PIL che imprigiona lavoratori e politici e blocca tutte le energie ed iniziative proprio in un momento di cambiamenti epocali a livello materiale oltre che sociale. In fin dei conti si sapeva tutto quel che c’è da sapere a tal proposito già negli anni ’60, ma si è preferito far finta di non saperlo per spingere al massimo sull’acceleratore. Si sono sfruttati i combustibili fossili senza nessun freno nè controllo e proprio come una macchina lanciata a tutta velocità e ormai fuori controllo, rischiamo di schiantarci. Si sapeva tutto già neglia anni '60, ma si è scelto male. Chi non ci credesse ascolti queste parole ben più sagge e degne d'attenzione di quelle del vostro affezionato Panda. A che serve riascoltarle oggi?
Ma a scegliere bene ovviamente! Se qualcosa deve scorrere a fiumi per le strade del mondo, facciamo sì che sia cultura e non sangue! Una volta tanto, dinnanzi alla paura, rispondiamo massicciamente con la testa ed il cuore, anziché con la parte più animalesca che è in noi. A quella abbiamo già dato sfogo un sacco di volte in passato e non nè è mai uscito nulla di buono.
Buona de-PIL-azione a tutti dal Panda!
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